lunedì

Aquila ancora Aquila. Lo smantellamento delle tendopoli

fonte: http://www.dongiorgio.it/scelta.php?id=895




Sono momenti molto difficili nell’aquilano. Mi va di raccontarvi qualcosina. Mi perdonerete per la lunghezza e la confusione ma questo velo che impedisce le comunicazioni al di fuori del cratere va abbattuto. In ogni modo.
Oggi vi racconto dello smantellamento delle tendopoli. ci sono molte ma molte altre cose da dire. ma visto che scrivendo mi sono resa conto di aver riempito 2 pagine vi mando la prima parte. ogni commento puo’ fare bene.

Il primo problema è il freddo. Tanto temuto è già arrivato prima che ce ne potessimo rendere conto.

Le tendopoli, quelle che abbiamo imparato a riconoscere come quartieri della nuova città si stanno smantellando.

Le modalità con cui questo avviene sono incredibili. Le associazioni che si occupano di difesa dei diritti umano troverebbero molto lavoro se si accorgessero di questo lenzuolo di terra così vicino alla capitale eppure così lontano dagli occhi e dall’attenzione del paese.

Storia esemplare e non unica è quanto avvenuto a Piazza d’Armi. La tendopoli più grande che raccoglie aquilani, quella resa un set televisivo nei primi mesi post terremoto con centinaia di telecamere fissate ostinatamente sulla difficile sopravvivenza dei residenti nelle tende, quella, a detta degli operatori, più complessa per la presenza oltre che di tanti migranti, di disabili e tossicodipendenti, quella più militarizzata, dove entrare era un’impresa impossibile, dove ci hanno proibito di entrare anche per una giornata di sport per non parlare delle numerose richieste di tenere assemblee all’interno o anche semplici volantinaggi, tutte sistematiche negate.
Era un giovedì mattina quando sono iniziate a circolare voci sull’imminente smantellamento del campo. Sembrava uno dei tanti “dice che” che circolano all’improvviso, generati da chissà chi e chissà perché. Poi iniziarono le conferme. Le prime telefonate sono arrivate dagli psicologi che operavano nel campo che denunciavano la richiesta fatta alle loro cooperative da parte della Protezione Civile Nazionale di accompagnare le squadre che dovevano comunicare ai residenti dello smantellamento e del loro futuro. Gli psicologi (quasi tutti) si rifiutano. Placare la rabbia non può e non deve essere un loro compito.

Nel pomeriggio si palesano le squadre. Sono composte da un operatore della Protezione Civile Nazionale, due carabinieri o due della guardia di finanza, in alcuni casi li accompagna uno psicologo. Entrano nelle tende e danno vita ad un breve colloquio con il nucleo famigliare al termine del quale, decidono, chissà in base a quali criteri, la destinazione provvisoria delle persone. Provvisoria perché in attesa dell’assegnazione di case o della ristrutturazione della propria abitazione. Il tutto deve avvenire in 24 ore. A lungo ci siamo interrogati sui motivi di questi tempi. La risposta però l’ho ascoltata proprio da un “volontario” della pcn. “non possiamo dar loro tempo di organizzarsi”. Perché? Per non permettere qualche protesta?

Alcune destinazioni sono accolte favorevolmente dai residenti. La più ambita è la caserma della guardia di finanza, ovvero la sede del G8, ovvero la sede della Direzione Comando e Controllo (Dicomac) organo decisionale della gestione del territorio post sisma, ovvero la sede della Protezione Civile a L’Aquila. Sono tutti i migranti di piazza d’armi ad entrare per primi. Eravamo lì ad osservarli mentre velocemente impacchettavano tutto, caricavano automobili e si avviavano verso Coppito. Tutto accadeva in un silenzio irreale. Sembrava di essere tornati indietro di cinque mesi a quel sette aprile, quando nessuno parlava e smarrimento e paura riempivano l’aria al posto dei suoni. Abbiamo provato a fare qualche domanda a cittadini peruviani o filippini impegnati a riempire le macchine. Nessuna risposta, scappavano via, tenendo la testa bassa.

La caserma ha molti blocchi di edifici destinati ad abitazioni recentemente ristrutturati per ospitare il G8. Non hanno la cucina e quindi si continuerà a mangiare in mensa ma insomma….è una soluzione più che dignitosa sopratutto se paragonata a cinque mesi di permanenza nelle tende.

E ai controlli ci siamo abituati. La gestione delle tendopoli non è stata poi così diversa da quella di una caserma.

Poi sono arrivate le requisizioni degli alberghi della città. Con accordi ancora non troppo chiari con la Protezione Civile si sono requisite il 75% delle stanze di tutti gli alberghi agibili della città, pochi, ma comunque sufficienti per il fabbisogno almeno di questa prima tendopoli.

Piccolo inciso: ma se era possibile fare così, perché queste soluzioni non sono state adottate prima?

Per gli altri le destinazioni sono fuori città, ad Avezzano, Sulmona, Tagliacozzo fra le altre. E qui sono iniziati i problemi e le proteste. Chi quel 6 di aprile ha scelto di restare in tenda ha compiuto una scelta coraggiosa ed incontestabile. Quella di rimanere accanto al destino della loro città. Qualcuno c’è rimasto perchè ci lavora, qualcuno perché c’ha gli animali o un pezzo di terra, qualcuno perché non si è mai allontanato e magari nemmeno se lo immagina com’è che è vivere lontano, qualcuno perché sta terra la ama e se rimane, forse, qualcosa la può anche fare. Andare fuori città ora? Dopo quasi sei mesi in tenda?

Piano piano si inizia a capire come hanno effettuato queste scelte e diviene evidente che il criterio è la produttività. Ovvero, chi ha un lavoro rimane, gli altri, gli sfigati, devono andare via, il tutto entro 24 ore.

Abbiamo seguito storie strazianti ed assurde, come quella della signora Pasqua, 76 anni, sola, mandata ad Avezzano o quella di Luigi ex tossicodipendente in cura presso il sert mandato a Tagliacozzo, anche lui, solo.

Per chi si opponeva alla deportazione la strategia usata non è stata quella della forza, ma una più subdola, più criminale.

Improvvisamente chi per cinque mesi è stato il tuo eroe, colui che ti aiutato e fornito tutto quello di cui avevi bisogno ora cambia faccia. Diventa insofferente ed assente. Le prime cose a sparire sono i bagni chimici, poi le tende che parano il sole. E mentre la polvere si alza per l’esercito che smantella le tende accanto a te sparisce la mensa, il container per i giovani, la tenda servizi, la farmacia ecc..

Rimani te, ostinatamente, da solo.

Nessuno, NESSUNO, è lì anche semplicemente a darti informazione. Aumentano a vista d’occhio le forze dell’ordine per timore di chissà che.

Non c’è il comune, non ci sono associazioni di volontario o per i diritti umani, non ci sono giornalisti, non ci sono osservatori.

Ai pochi giornalisti che tentano di entrare l’accesso viene negato e quando ci presentiamo in massa con degli avvocati fanno entrare solo uno, con il tesserino, scortato però dai carabinieri, ottimo metodo per tranquillizzare le persone e farle parlare.

Ora le televisioni dicono che le tendopoli e sopratutto quella di Piazza d’Armi non esistono più. Non è vero. A Piazza d’Armi resistono 38 irriducibili. Senza assistenza, senza cucina, con un solo bagno che fa schifo perché non viene pulito, nel bel mezzo di una discarica che è quello che rimane del campo. All’entrata una decina di carabinieri, non si capisce bene a fare che. Dove sono quelle schiere di volontari venuti in Abruzzo per darci una mano in buona fede? Dov’è la città? Dov’è la comunità? Gli abbiamo dimenticati?

Quello che è successo a Piazza d’Armi si sta ripetendo nelle restanti tendopoli nonostante l’incredulità dei residenti convinti che “tanto a loro non tocca” o che “ci hanno detto che questo campo è l’ultimo.

Pina, una nostra amica, una compagna, è residente al campo di Italtel 1. La scorsa settimana le hanno comunicato la sua nuova destinazione: Castellafiume, nella Marsica a 70 km dall’Aquila. Lei lavora all’Aquila, non ha la patente e due genitori anziani a carico.

Quando l’ha saputo ha deciso di andare ad occupare la sua casa E (con seri danni strutturali) nel quartiere di Santa Barbara. È entrata, ha chiamato noi, i giornalisti e i vigili del fuoco. La polizia è arrivata in un numero spropositato. Hanno bloccato addirittura la strada per ore – importante arteria di collegamento – di fatto bloccando la città. Erano impreparati ad una reazione di un’aquilana. Evidentemente non se lo aspettavano.

Ha esposto uno striscione dal suo balcone: L’Aquila – Castellafiume 70 km di vergogna.

Chiedeva un incontro con qualcuno della Protezione Civile Nazionale. Non si è mai presentato nessuno.

Pina è uscita di casa dopo 8 ore. Le hanno assicurato la revisione della destinazione, garante un politico locale.

Con le buone maniere qualcosa si ottiene.

Sara Vegni

venerdì

La Filosofia Della Libertà (Italian)




Un filmato di Ken Schoolland che spiega in modo semplice i diritti inalienabili e fondamentali di ogni persona.

martedì

PAOLO BARNARD CHE MONDO VORRESTI?

Di Antonella Randazzo



Ho letto con attenzione il brano con cui Barnard prende le distanze dal sito “comedonchisciotte” (vedi http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=137). Dopo averlo letto mi è venuta in mente spontanea la domanda “ma che mondo vorrebbe Barnard?”.
Il sito in questione è uno dei tanti che si occupa di quegli argomenti considerati tabù dal regime, tuttavia non bisogna pretendere che si carichi, come un vecchio “Atlante” che regge il mondo, della responsabilità di una libera informazione. Gli operatori di questo sito sono esseri umani con una sensibilità, un’opinione e un pensiero proprio sulla realtà, e inevitabilmente esprimono tramite il sito queste loro peculiarità.
Perché pretendere che facciano quello che vogliamo noi? Perché dobbiamo chiedere agli altri di essere come vorremmo noi? Perché gridiamo alla “censura” se persone private che curano liberamente un sito non pubblicano ciò che vogliamo noi? Non sono forse libere di farlo? Oppure crediamo che abbiano degli obblighi come fossero funzionari pubblici o a nostro servizio?
Molte volte sul sito “come donchisciotte” non ho visto pubblicati miei articoli per me molto significativi, ma non ho gridato “censura” e non mi sono neppure lamentata perché riconosco a queste persone la libertà di pubblicare sul loro sito ciò che ritengono appropriato e non conferisco loro la pesante responsabilità di una informazione “libera” e pluralistica.
Non è, caro Barnard, che talvolta pretendiamo che gli altri siano pari pari come vogliamo noi?
Forse il problema a monte è che tutti noi siamo attanagliati da una pesantissima e gravissima censura di regime, che, direttamente o indirettamente, ci condiziona e ci rende nervosi, inquieti, talvolta incapaci di capire le cose come stanno.
Questa censura, come Barnard sa bene, è spesso irriconoscibile, raffinata, camuffata. Si tratta, ad esempio, del giornalista del programma “Voyager” che parla di questioni verificabili come fossero “misteriose”, oppure di Piero Angela che con molta nonchalance ignora uno scienziato del calibro di Nikola Tesla.
E ancora, è Bruno Vespa che appoggia le statistiche completamente irreali di Berlusconi, oppure è Licia Colò che parla di Paesi del Terzo mondo come di paradisi turistici, sorvolando sui crimini che la popolazione sta subendo da parte di banche e corporation occidentali. Addirittura in questi giorni si è mobilitata la Curia di Milano per censurare un prete che sul suo blog aveva parlato con franchezza del ruolo che i nostri soldati hanno in Afghanistan (vedi http://www.dongiorgio.it/scelta.php?id=892). Le nostre autorità, a braccetto con prelati e mafiosi, cercano di mistificare la realtà ad un livello spesso orwelliano.

La vera censura non è non pubblicare un brano perché non si condivide completamente il punto di vista. In un sito privato chi dedica tempo libero senza essere pagato da nessuno può fare questo e altro. Gridare alla censura è sciocco come potrebbe essere, ad esempio, il lamentarsi se il vicino di casa non la pensa come noi o non dice le cose che vorremmo noi.
“Comedonchisciotte”, pur essendo un sito di informazione, non ha la responsabilità della libera informazione. Non è responsabile della censura che il nostro sistema ci impone. E’ un sito fatto di persone che possono pensarla come noi oppure no, o che possono fare cose che ci piacciono oppure no. Non possiamo essere sempre d’accordo con ciò che pensano o fanno, e questo non ci autorizza a pretendere che facciano ciò che vogliamo noi.
Barnard talvolta dice cose che non condivido, e spesso usa un linguaggio simile a quello utilizzato da qualsiasi giornalista ufficiale, tuttavia, lo leggo e apprezzo molte cose di ciò che dice. Non pretendo certo che cambi perché ogni persona deve essere se stessa.
I punti su cui riflettere sono: chi ha la responsabilità di una corretta informazione?
Chi dovrebbe garantire il pluralismo? Noi privati che curiamo siti o blog? E se non dovessimo rientrare nei canoni richiesti cosa succede? Si grida alla “censura”?

Io credo che le nostre autorità devono garantire pluralismo e vera informazione. Se non lo fanno è perché sono corrotte e dedico a questa corruzione le mie attenzioni. Voglio capire da dove deriva, a chi fa comodo e perché persiste nonostante molti italiani la riconoscano.
Il resto mi interessa relativamente, e se “come donchisciotte” non pubblica un mio articolo riconosco a queste persone la libertà di farlo. D'altronde, essendo sul web, ogni mio articolo può essere letto da chiunque.
Non desidero che privati si debbano sostituire a chi paghiamo per governarci, per informarci e per realizzare una vera democrazia. Se non lo fanno le responsabilità di ciò che il cittadino non riceve è loro e non di altri.
Siamo sudditi o cittadini? I sudditi non ritengono che il potere debba rispettare i loro diritti, e rinunciano a lottare per essi, rivolgendo altrove la rabbia causata dalle frustrazioni del sistema tirannico. Ma i cittadini chiedono conto dei diritti che vengono negati, senza pretendere che altri, non investiti da alcuna autorità, si sostituiscano ai personaggi corrotti nel dare ciò di cui hanno diritto.

Apprezzo chi cerca di capire la realtà per quello che è, e di operare per fare in modo che vengano trattati temi insabbiati dalla propaganda, attraverso siti o blog, ma non ritengo costoro responsabili di alcunché. Cerco di ricordarmi che le persone che si occupano di siti di informazione indipendente lo fanno senza essere pagati e provo gratitudine per quello che fanno. Ripeto, sono grata per tutti quelli che curano siti o blog indipendenti. Ed è una gratitudine che nasce spontanea dal cuore, dovuta soprattutto al fatto che ritengo che mai nulla sia dovuto.
Il futuro auspicato vede le attuali autorità considerate per quello che veramente sono, e sappiamo bene che non si tratta di “statisti”.
La situazione attuale ha aspetti paradossali e gravemente anomali. Non dimentichiamolo e non investiamo alcune persone, soltanto perché curano siti indipendenti, di una responsabilità che non hanno. Piuttosto cerchiamo di capire veramente il sistema in cui stiamo vivendo, e chiediamo conto alle autorità che stanno agendo contro i nostri interessi.
Internet non è quel paradiso della libera informazione che qualcuno ha cercato di far credere. E’ soltanto un luogo in cui è possibile trovare fonti inesistenti altrove. Quello che non troviamo in un determinato sito possiamo trovarlo su un altro sito o blog.
Utilizziamo questa opportunità senza caricare nessuno della pesante responsabilità dell’informazione libera e pluralistica.

lunedì

CENSURA LEGALE MA IMMORALE

Di Antonella Randazzo



Molti conoscono la triste vicenda di qualche anno fa che ha avuto come protagonista il giornalista Paolo Barnard, che si è trovato imputato per un servizio giornalistico fatto per la trasmissione di Rai Tre “Report”. In quel caso si parlò di “censura legale” praticata attraverso la clausola della manleva, che esonera l’editore da ogni possibile problema giudiziario derivante dai contenuti del servizio giornalistico. A tal proposito Barnard spiegò:

“Eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti giornalisti 'fuori dal coro'. Si tratta, in sintesi, dell'abbandono in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà d'informazione ve lo illustro citando il mio caso. Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big Pharma")… Per quella inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 16/11/2004 da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato dalle rivelazioni da noi fatte. Il lavoro era stato accuratamente visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare… Sono sconcertato. Ma come? Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro di me. La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio perdite che non mi posso permettere. Ma al peggio non c'è limite. Il 18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si rifarà su di me nel caso perdessimo la causa... Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno. Questa è censura contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa dal comportamento degli editori. Gli editori devono difendere i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare. Infatti oggi in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità. Questo bavaglio ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi politico o servo del Sistema.”(1)

Quello che è accaduto a Barnard testimonia il fatto che in caso di questioni giudiziarie l’editore può cercare di far pagare soltanto all’autore, e addirittura rivalersi sull’autore, pur avendo usufruito del suo lavoro.
Qui non si vuole giudicare nessuno, ci si limita a riportare i fatti, e poi sarà il lettore a farsi un’idea. I fatti dicono che quando vengono sollevate questioni giudiziarie si cerca di far pagare al più “debole”, ovvero al giornalista che fa il suo lavoro senza ossequiare il potere.

La faccenda sollevata da Barnard, evidentemente tocca punti scomodi e dunque si cercò di limitare quanto più possibile la conoscenza del fatto.
Se, come molti autori giustamente sostengono, una democrazia non può esistere senza una vera e libera informazione, la questione della censura legale è senza dubbio legata alla possibilità che nel nostro Paese possa esistere una vera democrazia.
Evidentemente, allo stato attuale delle cose, in cui gli autori sono intimiditi da minacce legali e in alcuni casi privati del sostegno degli editori, la difficoltà ad informare correttamente non è una fantasia.

La Rai, che dovrebbe offrire un’informazione veritiera e completa, è diventata un luogo di propaganda a favore del gruppo di potere, e sembra che qualsiasi giornalista che non si pieghi ai diktat del prepotente di turno dovrà essere emarginato o addirittura distrutto in sede giudiziaria.

Da recente, in Rai tira vento di novità ma non proprio “innovative”. Come molti sanno si paventa l’eliminazione della tutela giudiziaria per tutti i giornalisti di “Report”. Considerato che in passato la Rai non ha pagato nulla per le cause giudiziarie (dato che sono state vinte), è evidente che si vuole sottrarre tutela per scoraggiare i giornalisti dal fare un lavoro davvero indipendente e di qualità. In altre parole, si vuole far passare il messaggio “attento a quello che fai, non ti conviene avventurarti troppo nei tabù dell’informazione”.
Togliere la tutela legale alla Gabanelli e agli altri giornalisti di un programma come “Report” significa darla vinta ai prepotenti dello stesso stampo di Berlusconi e affini. Quando la Gabanelli ha protestato, la risposta di “mamma” Rai è stata: “Fatti vostri”.
 E il giornalista che ha chiesto alla Gabanelli “A chi date fastidio?",
 ha ricevuto come risposta: “Può farmi l’altra domanda, a chi non diamo fastidio?”.
L'eliminazione delle tutela giuridiziaria vuole invitare i giornalisti a restare nel recinto, dando un’informazione superficiale o non funzionale a capire veramente la realtà. E’ un modo subdolo per eliminare quelle trasmissioni di approfondimento giornalistico considerate scomode.

Purtroppo clausole come quelle della manleva possono riguardare anche giornali e pubblicazioni varie.
Una sorta di censura legale esiste anche nell’editoria saggistica, attraverso clausole contrattuali che gettano tutte le responsabilità dei contenuti sulle spalle dell’autore. In altre parole, l’editore guadagna quel che può da quelle pubblicazioni, ma se ne estrania per ciò che riguarda i contenuti, attraverso voci contrattuali che allontanano ogni sua responsabilità.
Purtroppo è una cruda realtà degli ultimi anni quella che vede piccoli e medi imprenditori che investono pubblicando libri (o riviste) che trattano argomenti tabù come il potere dei banchieri e delle grandi corporation, ma curandosi di porre nei contratti con gli autori clausole che li tengono lontani da possibili noie giudiziarie.

E’ comodo voler ricavare qualche soldo dal fatto che questa letteratura ha ormai una certa quantità di persone interessate, e prendere le distanze quando si tratta di condividere responsabilità sui contenuti. In altre parole, si pensa al profitto e non tanto al fatto che questo tipo di letteratura potrebbe generare maggiore consapevolezza della realtà, o comunque offrire una cultura non legata a gruppi di potere.
Gli editori che pensano soltanto al profitto vogliono talvolta apparire diversi da quello che sono, esibendo un’improbabile “passione” per ciò che fanno, tradita dalle clausole indicate nei contratti che essi offrono agli autori, e che vedono questi ultimi soli di fronte alla possibilità di conseguenze legali.
Ad esempio, un autore ha vissuto un’esperienza con un editore del genere suddetto, che si è fatto un’immagine assai positiva grazie alla pubblicazione di una rivista che tratta temi legati alla “controinformazione” o alla “medicina alternativa”. Tale editore offre un tipo di contratto vantaggioso soltanto per se stesso, pur divulgando un’immagine "morale" del proprio lavoro. Per chiarire meglio il fatto, si riporta come esempio un fac-simile di una clausola del contratto offerto da tale autore:

“L’autore cede, garantendone l’esclusiva titolarità, in esclusiva all’editore i diritti commerciali per la pubblicazione e il commercio dell’opera scritta, in lingua italiana per tutto il periodo previsto da questo contratto… L’autore dichiara di essere proprietario dell’opera in oggetto in questo contratto e che egli ha il potere di stipulare questo contratto per entrambi; dichiara inoltre che il contenuto e la pubblicazione dell’opera non costituisce violazione di alcuna norma vigente in Italia, né può recare pregiudizio di alcun genere a terzi. Egli dichiara pertanto di assumere a proprio carico tutti gli oneri e le spese che dovessero derivare all’Editore per effetto di eventuali azioni giudiziarie riconducibili dall’utilizzo dei diritti ceduti col presente atto.”

In poche parole, l’editore vuole ricavare profitti senza essere in alcun modo solidale con l’autore nel caso in cui qualche prepotente lo volesse trascinare in tribunale.
Come ha giustamente osservato Barnard a proposito della suddetta clausola: “Qui… chiedono una manleva generica su eventuali danni arrecati ad altri, e già questo è assurdo perché un editore deve condividere il valore dei testi che pubblica e al limite deve avvalersi di avvocati per vagliarli, come fa la RAI con le inchieste. Il ragionamento del "noi ti pubblichiamo ma sono cazzi tuoi se diffami qualcuno" è persino stato rigettato dalla recente giurisprudenza in diversi casi.”

Ma non finisce qui, oltre al danno c’è anche la beffa. L’autore che non ha voluto discutere il detto contratto e che ne ha proposto uno più accettabile, quando ha fatto notare l’incoerenza fra l’immagine offerta dall’editore e il comportamento reale, è stato apostrofato come “paranoico” e affetto da non precisate “disfunsioni” (si veda l'articolo http://lanuovaenergia.blogspot.com/2009/09/una-parola-per-molte-occasioni-metodo.html). Trattandosi di un editore che sarebbe anche un direttore di una rivista pseudo-medica-alternativa, si capisce la sua tendenza a fare diagnosi piuttosto che considerare e discutere i fatti.
In poche parole, l'autore non sarebbe "paranoico" quando permette all'editore di ricavare profitti dal proprio libro di contenuti "alternativi", ma lo diventa quando chiede all'editore di condividere anche i contenuti, e non soltanto ricavare profitti.

Eppure questi editori, come molte persone, sanno che oggi il settore giudiziario viene anche utilizzato come una specie di spada di Damocle per scoraggiare le persone dal trattare determinati argomenti. Spiega l’avvocato Giovanna Corrias Lucente:

“Sulla testa di ogni giornalista pende oggi la spada di Damocle di una querela per diffamazione. Lui – e il suo giornale – rischia la bancarotta, chi querela assolutamente niente. Anche se la denuncia si rivela infondata, infatti, è quasi impossibile ottenere un risarcimento. Risultato: i giornalisti scrivono sempre di meno e sempre più politically correct, le querele per diffamazione non si contano e i danni morali liquidati raggiungono cifre sbalorditive. Con buona pace del pluralismo e della libertà di stampa… Il giornalismo d’inchiesta è in via di scomparsa. Quali le cause? Il degrado dei giornalisti od i rischi processuali che affronta chi percorre territori non ancora sondati dai Giudici.”(2)

E’ vero che gli editori non sono benefattori, ma in teoria, dovrebbero condividere i contenuti di ciò che pubblicano (in linea di massima, altrimenti perché li pubblicano?), sennò che differenza c’è fra un editore avido appartenente al sistema, che mette il profitto al di sopra della qualità culturale e un editore che pubblica cose che smascherano il sistema ma lo fa stando attento a che le conseguenze ricadano soltanto sull’autore?
In entrambi i casi è il profitto che la fa da padrone, e dunque dal punto di vista morale non sembra ci sia una differenza significativa, nonostante il secondo possa spacciarsi per uno che è "consapevole" e che dunque pubblica opere che trattano argomenti tabù del sistema. Quest’ultimo vuole apparire moralmente migliore, ma di fatto può non esserlo ma soltanto apparire tale. In virtù di questa falsa immagine può vendere la sua rivista e i suoi libri, che “costano” veramente soltanto a chi li scrive e si è addossato tutta la responsabilità di ciò che ha scritto.

Uno può chiedersi cosa c’è di male ad avere profitti con questo tipo di letteratura. Certamente non c’è nulla di male a guadagnare pubblicando questo genere di libri, se però non si pretende di avere soltanto i vantaggi e caricare gli svantaggi tutti sull’autore.
Alcuni editori sono amichevoli quando subodorano che possono fare qualche quattrino, ma diventano ostili, del tipo “lei non sa chi sono io, poca confidenza” quando vedono che l’autore chiede conto di alcune clausole poco coerenti con l’immagine “controcorrente” che questi editori vogliono dare.
Per usare un'analogia, fatte le debite differenze, avviene un po’ quello che accadeva negli anni Sessanta e Settanta, epoca in cui gli industriali avevano inventato la formula “siamo tutti una famiglia” per far sentire a proprio agio l’operaio, evitando proteste. Ma quando qualche operaio decideva di chiedere un livello salariale più adeguato, o il rispetto dei suoi diritti, ecco che scattava la reazione che faceva capire che non si era proprio di famiglia.
Ieri come oggi, quando si chiede conto delle incongruenze di chi vuole apparire migliore di ciò che è, ecco che si solleva lo schermo di “classe”. Infatti, come molti ormai hanno capito, nel sistema in cui viviamo c’è l’idea che alcuni, in virtù del loro “status sociale” possano dettare legge, anche quando questa "legge" è immorale, schermandosi con l'appartenenza al sistema.
Qualcuno può dire: "Dove sta l’immoralità? Del resto siamo abituati da secoli all’arroganza di coloro che si sentono “altolocati” e hanno armi ben potenti dato che il sistema è dallo loro parte."
Tuttavia, negli ultimi anni qualcosa è cambiato, esistono davvero persone che credono in quello che fanno, e che lo fanno davvero per passione. Avere a che fare con chi millanta “passione” ma è pronto a diagnosticare patologie all’autore che non accetta di discutere o firmare contratti assurdi appare davvero paradossale.

E’ comodo voler sfruttare un filone letterario che, anche se ovviamente non fa vendere milioni di copie, ha una propria utenza.
Questo è accaduto a partire dal periodo in cui è stata diffusa la cosiddetta “new age”. Diversi editori si sono accorti che il filone aveva i suoi affezionati lettori e così hanno deciso di pubblicare determinati libri. Alcuni di questi editori non lo facevano per “passione” ma perché sapevano che si potevano avere profitti. Col filone delle pubblicazioni new age è stato creato anche un giro di conferenze, seminari o convegni, in cui gli utenti pagano spesso cifre che vanno dai 25 euro fino addirittura a cifre come 500 o 600 euro. I guadagni dunque possono essere notevoli, e molti di coloro che si occupano di queste iniziative spesso non pagano i relatori (ovviamente quando si tratta di personaggi non famosi), intascando talvolta non poco denaro e spacciandosi per “appassionati” del genere.
Si crea un paradosso: un filone che promuove una nuova realtà, fatta di spiritualità, altruismo, non più fondata sul profitto ma su un nuovo sistema economico- finanziario, viene promosso da persone motivate soprattutto al guadagno, che chiedono cifre spesso non irrisorie per tutto ciò che organizzano. Lo stesso avviene con alcuni editori di “controtendenza” specie quelli legati a marchi statunitensi: essi sono imprenditori attenti più che altro al profitto. Da queste pubblicazioni ricavano diversi vantaggi, non soltanto economici, potendo millantare una vicinanza ad una cultura “alternativa” che di fatto non c’è. Essi rimangono ben aggrappati al sistema, a tal punto da utilizzare le medesime etichette negative persino contro autori i cui libri avevano considerato pubblicabili, ma che hanno mostrato di non gradire i loro contratti. C’è anche da dire che alcuni di questi editori si sentono forti per la reale difficoltà che hanno gli autori indipendenti a trovare editori che pubblichino i loro libri, e dunque credono di poter tranquillamente offrire contratti-spazzatura, con alte probabilità che gli autori li accettino. E vogliono far credere che trovare autori disponibili anche a determinati contratti sia sintomo di qualità del contratto piuttosto che della triste situazione editoriale in cui ci troviamo attualmente.
Purtroppo, la pubblicazione di libri “controcorrente” da parte di piccoli editori permette a questi ultimi un, seppur esiguo, guadagno, ma non permette che taluni argomenti vengano portati all’attenzione del grande pubblico, preservando però l’apparenza di “pluralismo” editoriale del nostro sistema.

Purtroppo, la situazione culturale attuale del nostro paese è assai misera: da un lato troviamo la grande editoria promossa dal gruppo di potere, che propone libri sempre più scadenti e propagandistici, dall’altro lato esistono piccoli e medi editori, alcuni dei quali molto seri e altri non disposti a sostenere le idee dei libri da cui tuttavia ricavano guadagni.

Il sistema vince quando gli editori non difendono la libertà di pensiero se rischiano qualcosa, vince quando un autore rimane solo, e si allontanano anche quelli che in altre sedi vogliono apparire “appassionati” difensori della verità.
Vince quando non c’è una reale e disinteressata solidarietà con chi ha il coraggio di dire le cose come stanno, di stanare coloro che non la raccontano giusta, e di far emergere la vera realtà in cui stiamo vivendo.
Non si tratta di scoop per far soldi, né di libri che scaleranno le classifiche, ma di una informazione veritiera necessaria per creare una vera democrazia. Altrimenti esiste soltanto una realtà di giullari e guitti, spesso in malafede.
Una realtà paradossale, ma purtroppo vera, in un sistema in cui spesso non si valorizza la cultura ma soltanto il guadagno che se ne ricava. In cui sembra che persino il bisogno di cambiamento e di una società migliore possa diventare soltanto “merce” da cui ricavare profitti. E’ così che può morire la cultura, l’informazione, e con esse la fantomatica “democrazia”.


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NOTE

1) http://www.paolobarnard.info/censura_legale_repliche.php
2) “Micromega”, 29 giugno 2007.

domenica

Jane Burgermeister: OMS, Vaccino e Suina - Intervista di Project Camelot - Sub Ita 1/6




Bill Ryan di Project Camelot intervista Jane Burgermeister, la giornalista austriaca che ha presentato accuse penali contro l'OMS, la Baxter e diversi personaggi legati alla propagazione volontaria dell'influenza suina, con scopo di lucro e di depopolamento mondiale.
Da vedere fino alla fine per capire il vero significato di questo allarme pandemia.

venerdì

L'AMORE DEGLI ITALIANI PER I LORO GOVERNANTI




Quanto dovrà durare ancora l'oppressione degli italiani ad opera di personaggi mafiosi e massoni che si spacciano per "statisti"?

lunedì

UNA PAROLA PER MOLTE OCCASIONI - Metodo pratico per zittire gli impudenti

Di Antonella Randazzo



Mentre nel Medioevo, periodo in cui era fondamentale l’ortodossia religiosa, chi proponeva qualcosa di nuovo o metteva in discussione il sistema veniva bollato come “eretico” e accusato di nefandezze morali e sessuali, oggi, nell’epoca della “Scienza” e del razionalismo, chi dice qualcosa di nuovo o mette in discussione il sistema viene bollato come “irrazionale” e caricato di tare che lo renderebbero “paranoico”, “disturbato”, estremista o “terrorista”.

Queste parole sono collaudate da anni. Ad esempio, nel marzo del 1973, il mafioso pentito Leonardo Vitale decise di consegnarsi liberamente alla polizia e di svelare gli aspetti più incredibili della storia di Cosa Nostra. Raccontò molte cose su come funzionava l’organizzazione, su chi la capeggiava e sui traffici mafiosi. La risposta degli esperti fu “paranoia”, ovvero è “matto” e bisogna rinchiuderlo in manicomio, cosa che avvenne. La deposizione di Vitale fu raccolta dall'allora giudice istruttore Aldo Rizzo. Vitale spiegò la struttura di Cosa Nostra e fece i nomi di duecento mafiosi, fra i quali Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Michele Greco, Totò Riina, l'assessore Pino Trapani e Vito Ciancimino.
Ce n'era abbastanza per distruggere completamente l'organizzazione, ma le autorità non si preoccuparono di farlo, né si preoccuparono particolarmente della testimonianza del primo pentito di mafia: la diagnosi di pazzia permise di rinchiudere Vitale in un manicomio giudiziario per 10 anni. Quando uscirà sarà atteso dalla mafia, che ben sapeva che egli non era affatto paranoico. Sarà ucciso nel dicembre del 1984, due mesi dopo l'uscita dal manicomio.
Dovranno passare quasi venti anni affinché il giudice Falcone prendesse sul serio le stesse cose dette da Tommaso Buscetta.

Il 20 ottobre del 1992, il procuratore di Palmi, Agostino Cordova, mandò i carabinieri alla sede del Grande Oriente d’Italia per farsi consegnare le liste degli iscritti. Sia in Sicilia che in Calabria, dalla relazione del giudice Cordova emergeva una situazione di notevole illegalità mantenuta dalle attività delle logge. Nel giugno del 1993, la Procura di Catanzaro, nell’ambito di una operazione antimafia, arrestò trentatrè persone. Per associazione mafiosa finalizzata al traffico di droga arrestò Gino Capelluto, che era anche un massone.
Secondo il giudice Cordova la massoneria è da ritenere "'il tessuto connettivo della gestione del potere". Negli anni Novanta, in Italia, c'erano 146 massoni indagati per mafia e reati politici, 83 dei quali accusati di riciclaggio di titoli rubati. Fra gli iscritti alle logge figuravano anche diversi poliziotti e carabinieri, accusati da Cordova di "impedire le indagini". (1)

Molti personaggi in vista, come l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Claudio Martelli (ministro di Grazia e Giustizia nel 1991), si scagliarono contro Cordova, dando ad intendere che c’era qualcosa che non andava in lui, al fine di screditarlo e sminuire il lavoro che egli stava facendo. Si alludeva a presunte manie “persecutorie” del magistrato in questione, ovvero egli sarebbe stato un personaggio con tendenze “paranoiche”, dato che sarebbe paranoico chiunque creda nell’esistenza di reti di controllo massoniche.
In passato era considerato paranoico anche chi credeva nell’esistenza della mafia. Per molti alti prelati la mafia era "un'invenzione dei comunisti", e per alcuni magistrati si trattava di "bande criminali sempre più deboli", e chi ci vedeva invece una rete di potere molto forte veniva tacciato di sentimenti “persecutori”, di pensieri “paranoici”.

Oggi il termine “paranoico” è diventato una specie di “vizietto” dell’attuale gruppo di potere: chi solleva i paradossi e i crimini del sistema viene etichettato come “paranoico”.
Chiunque vuol darsi arie di persona “adattata” al sistema, ben integrata e addirittura “altolocata” non deve far altro che dare del “paranoico” a chi non la pensa come lui, o a chi mette in discussione aspetti del sistema ambigui o paradossali.
Quale accusa fu sollevata al magistrato Luigi De Magistris quando, andando avanti nell’inchiesta “Why not”, stava indagando anche su Mastella e Prodi? Gli dissero che era “paranoico” (2) . E alla Forleo che stava facendo il suo dovere e scopriva i “furbetti del quartierino”? Ovviamente le dissero che era una paranoica.

Ormai da diversi secoli le parole “matto” o “malato di mente” sono usate per stigmatizzare persone o idee che non collimano con quello che il potere vuole. Il “diverso” è spesso soltanto colui che ha più coraggio degli altri per essere se stesso, e per contestare le assurdità che tutti prendono per buone soltanto perché il sistema vuole così.
Secondo il fisico e ricercatore Vittorio Marchi, “l’impero… più che altro è fatto di un programma intelligente inserito nel cervello umano come fosse un microchip… in modo che la mente ne risulti polarizzata per via genetica e culturale. All’interno dell’impero l’educazione non si discute, si rispetta perché vale la convenzione… le nostre scienze sono fondate su verità convenzionali… e vanno rispettate sannò gli esami non si superano. La parole di una maestra, di un ministro di culto, di un premio Nobel, di un giudice, di un magistrato, di un onorevole, apparentemente ammantate di democrazia e di civiltà non si dibattono e tantomeno si contrastano, si ossequiano”.(3)

Le nuove idee vengono sempre inizialmente ridicolizzate, perché ancora non trovano una base per essere comprese da tutti, e dunque si approfitta di questo per limitare la loro diffusione o per fare in modo che le persone che hanno il coraggio di sostenerle vengano tenute ai margini o considerate pazze.

Premettiamo che viviamo in un mondo in cui milioni e milioni di persone credono che una donna sia rimasta incinta pur rimanendo vergine (e all’epoca non c’era l’inseminazione artificiale) e che si possa resuscitare un morto o moltiplicare pani e pesci. Ma i paranoici non sono quelli che credono alle cose assurde propinate dal potere, al contrario, sono quelli che non ci credono affatto, e che, ad esempio, invece di un inverosimile “complotto arabo” indicano l’esistenza di un vero e proprio impero, assiso sul trono edificato sulla miseria umana.
Insomma, il sistema cerca di attivare tecniche utili ad impedire che le persone credano o facciano cose pericolose per l’assetto costituito. A tale scopo si cerca di rendere doloroso quello che non rientra nella propaganda. Ad esempio, attraverso il “bias di conferma”, si fa in modo da consolidare nella mente alcune idee “lecite” riguardo alla realtà, rendendo dolorose o inaccettabili quelle che non collimano con le prime. Si ottiene che le menzogne anche grosse (come ad esempio che saremmo in democrazia) possono essere credute, mentre persino ciò che può essere sotto i nostri occhi (come le scie chimiche) dovrà apparire come falso, “misterioso” o dovuto a fantasie strane. Usando questi meccanismi persino Hitler parlava di democrazia e di benessere collettivo. Il bias di conferma permette la sopravvivenza di miti che potrebbero essere considerati assurdi, come quello dell’occidentale filantropo che porta agli altri benessere e democrazia. Chiedete alle persone del Terzo mondo cosa hanno portato loro le corporation e le banche occidentali, se la “democrazia” o la miseria.

In passato i matti erano anche le donne che si ribellavano alle rigide restrizioni imposte al loro sesso, gli artisti che parlavano di sensazioni o di esprimere cose che non potevano essere catalogate all’interno delle regole “scientifiche” o tutti coloro che osavano sollevarsi contro i loro datori di lavoro che li costringevano alla miseria.
Per chi viene percepito dal potere come “pericoloso” non dovrà bastare la possibile riprovazione sociale, onde evitare conseguenze, occorrerà, se non si può criminalizzare, far passare per matto, ovvero per “paranoico”.

Oggi chi sono quelli che il sistema ritiene matti?
Proviamo a leggere cosa dice l’enciclopedia Wikipedia alla voce “paranoia”:

“Questa condizione è spesso caratterizzabile come una degenerazione patologica di alcuni tratti caratteriali come la diffidenza, l'inclinazione al pregiudizio o l'insicurezza. Il sistema di credenze di tipo persecutorio viene elaborato dal paziente in modo lucido e sistematico, ovvero non viene in generale a mancare la funzione razionale. In questo senso la paranoia si può descrivere come un caso particolare di disturbo delirante. Esempi piuttosto comuni sono la convinzione di essere pedinati e spiati, di stare venendo avvelenati, di avere una qualche malattia, di essere vittima di parassiti (come nella parassitosi allucinatoria), di subire o aver subito lavaggi del cervello o controllo mentale, di voler essere allontanati dalla società verso posti lontani dove terzi potranno approfittare della propria mente. Il paranoico sviluppa quindi un atteggiamento antisociale, attribuendo alla società la paranoia stessa della quale il soggetto è vittima. È tipico il ribaltamento sulla società dei propri stessi atteggiamenti, per i quali il soggetto si sente vittima… Anche le persone che hanno sistemi di credenze riconducibili a teorie del complotto sono talvolta etichettate come "paranoiche.”(4)
Addirittura, è stato persino elaborato il termine “complottomania” come una “forma di paranoia” da cui deriverebbero false notizie.

Dunque, il paranoico si “sente vittima”, oppure crede che altri vogliano manipolarlo o fargli del male. Questa definizione farebbe rientrare nella categoria parecchie persone e presume che il mondo sarebbe un luogo sicuro in cui tutti possono vivere come vogliono e non c’è alcun tipo di inganno né politico, né finanziario né economico. Ogni dubbio su ciò sarebbe dovuto ad una patologia, dato che si assume come fatto certo che il sistema non sarebbe mai né criminale, né manipolativo.
Dunque, la definizione di Wikipedia non precisa una cosa fondamentale per capire bene la definizione: che si può essere affetti da “paranoia” quando ci si sente vittime senza alcuna prova che effettivamente i fatti sostenuti esistano nella realtà, ma non quando esistono prove a sostegno dei crimini che si stanno indicando.
Il punto è che molti fatti manipolativi e criminali sono sotto gli occhi di tutti. Le prove sono tantissime, e volerle considerare non vuol dire essere affetti da patologie, come piace sostenere ai “guardiani del sistema”, ma essere onesti con se stessi e con gli altri nel rigettare la propaganda e i tentativi di far apparire matti tutti quelli che mettono a repentaglio lo status quo.

Insomma, per non essere paranoici dovremmo credere che in questo mondo non vengono mai uccise persone innocenti, che non esistono armi chimiche e che le persone che vivono nel Terzo mondo siano ridotte in miseria o muoiono di fame per cause misteriose o perché esse stesse lo scelgono.
Per non essere paranoici dovremmo credere che la realtà attuale dipende dalle persone comuni, che i giovani scelgono liberamente di essere sfruttati in mansioni lavorative precarie e malpagate, che l’anziano sceglie volontariamente di vivere con una pensione da fame, e che gli iracheni o gli afgani scelgono di vivere sottomessi ad un potere imperiale crudele, che si spaccia per democratico. Dato che ciò e assurdo, vuol dire che coloro che sollevano problemi relativi ad un sistema di potere iniquo non sono matti, ma hanno prove a sostegno di ciò che dicono, e dunque non si può chiudere la faccenda limitandosi ad etichettarli negativamente.
Inoltre Wikipedia osserva che la paranoia può dare un "disturbo delirante" per riferirsi al concetto più generale di delirio lucido e razionale, che include per esempio… (l’idea) di avere ricevuto una speciale missione da parte di Dio di essere traditi dal proprio partner, e via dicendo”. (5)
Se è paranoico uno che pensa di “avere ricevuto una speciale missione da parte di Dio”, allora non ci sono dubbi sul fatto che anche papa Ratzinger è paranoico. E lo sarebbero anche tutte quelle autorità religiose convinte di “avere ricevuto una speciale missione da parte di Dio”.
Il dogma dell’infallibilità del papa, che dice che il papa è chiamato da Dio stesso e “sostenuto e ispirato dallo Spirito Santo nel suo incarico di Vicario di Cristo”, e non può sbagliare mai quando opera all’interno del suo ruolo, dovrebbe essere il top della paranoia per Wikipedia.
L’attuale papa, recandosi in Terra santa, nel maggio scorso disse: “(Siamo) scelti da Dio, santi e amati”. (6)
Esisterebbero secondo lui persone “scelte da Dio”, in primis egli stesso, che si erge ad autorità infallibile. Dunque non può non rientrare nella comune categoria di “paranoici”, che secondo Wikipedia, dovrebbe comprendere tutti coloro che credono di esser stati incaricati da Dio di una missione speciale.

Fanno parte della categoria “paranoici”, secondo Wikipedia, anche coloro che credono nell’esistenza di personaggi che agiscono contro i loro interessi. Allora vi rientra la persona che ha fatto la seguente affermazione:

“ Guardando ai risultati si può rilevare, come effetto di queste azioni, la grave destabilizzazione del nostro Paese, da me più volte rilevata anche in sede parlamentare. Quindi si può dire che risultati negativi per l'Italia sono stati conseguiti... Circa i possibili ispiratori o favoreggiatori italiani niente in coscienza si può dire, viste le molteplici inchieste giudiziarie rimaste non concluse (ma anche non esaurite) relative sia alle singole persone sia agli organi dello Stato. Significative sono le indagini che si vanno svolgendo a Milano (come del resto a Catanzaro) con tutto il necessario rigore. E' mia convinzione però, anche se non posso portare il suffragio di alcuna prova, che l'interesse e l'intervento fossero più esteri che nazionali. (7)

Queste parole sono tratte dal memoriale di Aldo Moro, in cui egli esprime sospetti che la strategia della tensione fosse provocata volontariamente da persone che sarebbero da ricondurre alle autorità Usa.
Il 4 luglio del 2005, l'ex vicepresidente della DC Giovanni Galloni rivelò al quotidiano “Next” di Rainews24 che nel sequestro e nell'uccisione di Aldo Moro ebbero un ruolo primario la Cia e il Mossad: "Non posso dimenticare un discorso con Moro poche settimane prima del suo rapimento: si discuteva delle BR, delle difficoltà di trovare i covi. E Moro mi disse: 'La mia preoccupazione è questa: che io so per certa la notizia che i servizi segreti sia americani che israeliani hanno infiltrati nelle BR ma noi non siamo stati avvertiti di questo, sennò i covi li avremmo trovati'.
Insomma, Moro era convinto che vi fossero gruppi di potere che stavano danneggiando il nostro paese. E secondo la definizione data da Wikipedia egli doveva avere manie “complottiste” paranoiche.

Senza dubbio, alla categoria apparterrebbe, sempre secondo i parametri posti da Wikipedia, anche la persona che ha detto queste parole:
“Siamo di fronte, in tutto il mondo, ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti, per espandere la sua sfera d'influenza, sull'infiltrazione, anziché sull'invasione sulla sovversione, anziché sulle elezioni, sull'intimidazione, anziché sulla libera scelta. E' un sistema che ha reclutato ampie risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina affiatata, altamente efficiente, che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, operazioni economiche, scientifiche e politiche. Le sue azioni non vengono diffuse, ma tenute segrete. I suoi errori non vengono messi in evidenza, ma vengono nascosti, i suoi dissidenti non sono elogiati, ma ridotti al silenzio.”

Queste parole sono state dette, nel suo celebre discorso ai massimi rappresentanti della stampa nell’aprile del 1961, dal presidente americano John Fitzgerald Kennedy. In questo discorso parlò chiaramente dell’esistenza di gruppi criminali che danneggiavano il paese.
Secondo il punto di vista espresso dalla "libera enciclopedia", egli, avendo sostenuto di essere vittima di manipolazioni, o avendo “credenze riconducibili a teorie del complotto”, sarebbe stato soltanto un povero paranoico.

E’ curioso constatare che proprio un’enciclopedia che si autodefinisce “libera”, cerca di disinformare sul significato di parole che il regime usa con molta leggerezza per screditare persone scomode o per additare chi non vuole adattarsi all’assetto iniquo. Seminare disinformazione su questi concetti significa concorrere alla tendenza molto accanita negli ultimi tempi, volta a far apparire “disturbati” quelli che sostengono l’esistenza di gruppi di potere che agiscono contro i popoli.

La differenza fondamentale, che non è messa in evidenza su Wikipedia, è lo scarto fra realtà e fantasia. Ovvero, se uno ha prove di essere tradito e per questo pensa di esserlo, non è un paranoico (come sostiene Wikipedia) ma, purtroppo per lui, un cornuto.
Lo stesso, se uno ha prove del fatto che un evento è stato organizzato per danneggiare qualcuno, non è paranoico, ma è semplicemente una persona che dice le cose come stanno.
Usare il termine “paranoico” per non affrontare la discussione sui fatti, anzi, per annullare i fatti attraverso una presunta malattia o affezione mentale è da disonesti.

Mentre le questioni della propaganda vengono ammantate da un’improbabile certezza (ad esempio, i governi starebbero facendo qualcosa contro la “crisi” oppure istituzioni come la Consob starebbero facendo sempre il prorio “dovere”), le questioni sollevate dai dissidenti vengono tenute nel limbo dell’incerto, dell’ipotesi, anche quando di ipotesi non si tratta. E quando si può, si fanno discendere tali ipotesi da uno stato mentale non “normale”.

Nascono non poche domande:
Chi dice che i servizi segreti ci proteggono, sarebbe "normale"? Chi invece menziona le innumerevoli testimonianze di agenti dell’Fbi o della Cia che parlano di moltissimi crimini del tutto voluti? Sono tutti matti?
Allora ci deve essere stata una specie di epidemia in certi ambienti dei servizi segreti! Altro che influenza suina!

E le persone che sganciano bombe sui civili sono "normali" o "paranoiche"?
E gli agenti dello spionaggio militare che praticano la tortura o scrivono manuali d’istruzione per meglio torturare sono “normali”? Non sono matti? Diventano matti quando denunciano la cosa?
E se dovessimo considerare la pazzia come “pericolosità per sé stessi o per gli altri” che criteri dovremmo utilizzare? Chi è più matto, chi crede negli Ufo o chi pratica la tortura?
Chi bombarda sui civili o chi propone un modo non ufficiale per capire gli attentati dell’11 settembre 2001?
E’ più matto chi nutre dubbi sul vaccino contro l’influenza suina o le persone dell’Oms che dicono ai governi di vaccinare tutti contro un’epidemia che ha ucciso soltanto poche centinaia di persone ma appaiono indifferenti verso quelle migliaia di persone che muoiono ogni giorno per malattie curabili o per fame?

Secondo alcuni autori esisterebbe una sorta di “morale dello schiavo” che spinge dentro il gregge tutte quelle persone che temono la libertà, e per questo accettano ciò che sanno in cuor loro essere sbagliato. La morale dello schiavo coincide con il disprezzo per se stessi, dovuto al giudizio d’incapacità di autogovernarsi o che il proprio pensiero possa avere valore. Ma se non si crede in se stessi si potrà vivere una vita realmente di qualità? E’ possibile crescere se ci si disprezza? Se si accetta il giudizio di pazzia ogni qual volta si esce dal recinto?

Come mai non dovremmo credere ai nostri occhi che hanno visto strani aerei, non di linea, che andavano avanti e indietro nei cieli lasciando strane scie che nel tempo assumono una strana forma?
Perché dovremmo pensare che i nostri occhi ci rendano "matti"? E cosa ci renderebbe “sani”? Un sistema che mi dice che quello che vedo non esiste?
Un sistema che ci dice di credere che Berlusconi è un grande statista, che noi tutti siamo informati su ciò che realmente accade nel mondo dalla Tv, o che le autorità Usa proteggono il mondo?

Qualcuno ha detto che “la paura reale è quella di guardare dentro se stessi”, perché guardarsi dentro potrebbe far emergere molte cose soffocate da un sistema che si spaccia per tollerante. Di fatto, chi è veramente se stesso, e dunque scopre diversi altarini del sistema, può dare fastidio. Chi domina oggi è molto suscettibile e parecchio impaurito dal fatto che il castello di carte sorretto dalle menzogne possa da un giorno all’altro crollare. Per questo chi fuoriesce dal recinto diventa “matto”. Le sue argomentazioni vengono caricare di contenuti estranei, vengono derise, etichettate, associate con altre cose improbabili, ecc.
Quando un potere viene basato sulla menzogna, è ovvio che debba temere la verità. E per far accettare la montagna di menzogne è necessario, in una falsa “democrazia”, far leva sulla paura: paura di incorrere a sanzioni, paura di essere uccisi o paura di essere “matti”.
Paradossalmente, nel sistema in cui viviamo il crimine non è quello di essere complici dei delitti del sistema, ma quello di denunciarli.

Da un lato ci inducono a vivere all’interno di una sorta di “cultura delle certezze”, in cui la scienza ufficiale avrebbe oramai compreso moltissime cose della realtà e dunque, anche se ancora noi non le abbiamo comprese, basta affidarsi alla scienza e possiamo sentirci “sicuri”. D’altro lato, si alimenta l’insicurezza emotiva, che ci rende dipendenti dal sistema, facendoci desiderare qualcuno che ci protegga o che ci permetta di vivere con dignità. Se dipendiamo dagli attuali personaggi al potere, anche la nostra consapevolezza di noi stessi dipenderà da loro, e dunque il sistema stesso si arrogherà il diritto di dirci cosa è “normale” e cosa non lo è, non sulla base di noi stessi, ma di parametri che lo stesso sistema di potere porrà.
Il pericolo sta nell’acquisire incapacità a credere in noi stessi, ad avere fiducia nella nostra stessa esperienza: in quello che sentiamo o che vedono i nostri occhi.

La cultura delle certezze si trasforma immediatamente in cultura del dubbio quando si fuoriesce dal recinto della propaganda, o quando si tratta di considerare quello che i singoli individui pensano, credono, percepiscono o intuiscono.
Se si aderisce alla cultura della “certezza” ufficiale si nutriranno dubbi su se stessi e non sul sistema, anche quando lo scarto fa ciò che viene detto e ciò che si percepisce come vero è notevole.

In altre parole, la cultura della sicurezza riguarda sempre i parametri posti dal sistema mentre la cultura del dubbio riguarda noi stessi o coloro che sollevano fatti e questioni che non convengono a chi ha creato il sistema.
Di conseguenza, il dubbio può diventare dubbio su se stessi, sulla propria mente, sulla propria capacità di adattarsi alla realtà o di comprenderla. I dubbi possono essere sollevati solo su se stessi o su tutto ciò che il sistema permette di mettere in dubbio, altrimenti si grida al “paranoico!”

Perché le persone credono alla propaganda contro la loro stessa esperienza?
Per non apparire “matti” si preferisce rimanere schiavi?

Ci sono parecchie persone “normali”. Queste persone leggono quotidiani come "La Repubblica" o "Il Giornale", convinte di informarsi su ciò che accade nel mondo. Alcune di queste persone pensano alle autorità Usa come a persone molto “democratiche”, anche se i morti in Iraq aumentano di giorno in giorno, anche se in alcune carceri statunitensi si pratica la tortura, anche se le autorità statunitensi avversano ogni tentativo popolare di autodeterminazione, anche se la loro propaganda mira a mostrare la realtà quale essa non è, anche se sostengono coloro che costringono molti popoli a soffrire la miseria, ecc. Le false notizie di solito non provengono dai “paranoici” ma dai cosiddetti “normali”.
La “normalità” talvolta assomiglia assai al cinismo e al considerare soltanto ciò che fa comodo a se stessi. Gli indifferenti, gli scettici, i cinici, non vogliono saper nulla sul male che accade attorno a loro, se non li colpisce personalmente.

I "normali di alto rango" sono quelli che sanno etichettare come paranoiche tutte quelle persone che fuoriescono dalla loro ideologia. Molti di questi “normali” hanno un comportamento motivato dal profitto e dal “successo”, inteso come carriera e possesso di beni materiali di prestigio. Tutto il resto viene dopo. Per loro devono essere per forza paranoiche le persone che non accettano la realtà così com’è. Secondo loro non c’è nulla di cui preoccuparsi perché comunque la realtà attuale è la migliore che ci possa essere. Se muore dilaniato un bimbo palestinese o iracheno? E che ti importa se tuo figlio sta bene? Milioni di persone muoiono di fame? E che ti importa se tu la pagnotta ce l’hai? Nelle guerre vengono utilizzate anche armi chimiche? E che ti importa se nel tuo paese c’è la pace? Insomma, per queste persone non bisogna essere paranoici, il che equivale a scegliere uno stile di vita simile al loro: pensare ai fatti propri, al profitto e al benessere materiale, e se poi succedono cose assurde si deve far finta di nulla, per rimanere “normali”.

Ricapitolando, sono considerati paranoici:

- I magistrati che fanno il loro dovere senza guardare in faccia nessuno.
- Quelli che non credono che Israele sia uno Stato democratico che combatte il “terrorismo”.
- Quelli che non credono che le autorità occidentali siano a servizio dei popoli e agiscano a loro vantaggio.
- Quelli che hanno capito, anche da quello che è emerso dalle indagini di rispettabili magistrati, che senza reti di controllo mafiose e massoniche il sistema non potrebbe durare.
- Quelli che non credono alle missioni di pace fatte a suon di bombe.
- Quelli che non credono che in un attentato in cui l’aereo praticamente scompare sia possibile ritrovare documenti cartacei come una carta d’identità del dirottatore o una bandana in buono stato. Il “paranoico” a questo punto si potrebbe chiedere come mai non sia stato ritrovato persino uno spazzolino da denti con relativo dentifricio di rigorosa marca araba.
- Quelli che non credono che la povertà e la morte per fame siano ineliminabili.
- Quelli che non credono che soltanto perché si va a votare una fazione politica piuttosto che un’altra si deve ritenere di essere in una democrazia. Si vota anche in Afghanistan e in Iraq.
- Quelli che non credono che l’Italia sia un paese davvero libero e democratico.
- Quelli che non credono a moltissime altre cose sostenute dalla propaganda.


I “normali” invece sarebbero:

- Quelli che accettano la versione ufficiale di qualsiasi strano evento, compreso l’11 settembre.
- Quelli che sono convinti di vivere in una evoluta democrazia occidentale, in cui il popolo ha piena sovranità, la politica è a servizio di tutti e non esiste alcun gruppo criminale che vuol fregare i popoli.
Quelli che credono che bisogna guardare soltanto alla propria personale situazione, a far carriera, ad avere “successo”, a “diventare qualcuno”, senza curarsi di molto altro.

Scegliete pure se essere “normali” o se esporvi all’accusa di essere “paranoici”. Se Orwell vi ha insegnato qualcosa saprete valutare correttamente i termini.
In un mondo che va verso il baratro proprio per l’accondiscendenza al potere della “normalità”, speriamo che molti decidano di non essere “normali”.
Come disse Jacob Bronowski: “È mai esistita una società che sia morta per il dissenso? Molte sono perite a causa del conformismo, nel tempo nostro”.




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NOTE

1) Nicastro Franco, “Mafia, 007 e Massoni”, Edizioni Arbor, Palermo 1993, p. 186.
2)Vulpio Carlo, “Roba nostra”, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 157.
3) http://video.google.it/videoplay?docid=-5469067014007958145&ei=BIKFSoLgK6W-2gKw3tWOAw&q=Vittorio+marchi
4) http://it.wikipedia.org/wiki/Paranoia
5) http://it.wikipedia.org/wiki/Paranoia
6) http://www.opusdei.it/art.php?p=33679
7) Comm. Moro, 161-162; Commissione stragi, II 254-255, Numerazione tematica 2, http://www.apolis.com/moro/moro/memoriale/3.htm



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Parte seconda: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/03/lipotesi-stegocratica-parte-seconda.html

giovedì

ABBRACCI A TUTTI! - (Per i baci c’è sempre tempo)

Di Antonella Randazzo




In un mondo sempre più inquietante, dove ogni giorno siamo alle prese con mille problemi e contrattempi, cosa può farci davvero bene?

Secondo i ragazzi degli “abbracci in dono”, un semplice abbraccio!
Sono persone vanno in giro ad offrire “abbracci in regalo” a tutti, ovvero a tutti quelli che li vogliono.
Si tratta di una nuova moda? Di uno scherzo? Di qualcosa di troppo melenso?

In realtà, stando ad alcune ricerche scientifiche, l'abbraccio sarebbe un modo per ottenere benefici psicofisici senza medicine, senza fatica e senza conseguenze negative.
Secondo uno studio condotto da ricercatori dell'Università della Carolina del Nord, pubblicato sulla rivista dell'"American Psychosomatic Society" (una delle più importanti riviste di medicina psicosomatica), il semplice atto di abbracciarsi produrrebbe effetti benefici sul cuore e sulla pressione sanguigna. (1)
La ricerca prendeva ad esame 38 coppie eterosessuali, che avrebbero trascorso del tempo insieme e poi si sarebbero abbracciate. Alcuni test clinici venivano fatti prima e dopo gli incontri.
E' risultato che abbracciarsi è un gesto che produce effetti benefici, per tutti, maschi e femmine, perché aumenta il livello di oxitocina, un ormone che contrasta lo stress.
Sembrerebbe che coloro che vivono un rapporto di coppia stabile, in cui sono frequenti le conversazioni costruttive e gli abbracci, possano meglio contrastare lo stress.
Sarebbe salutare anche abbracciare persone sconosciute. Il fenomeno degli “abbracci gratis” è iniziato a Sidney nell’agosto del 2004, quando un uomo chiamato Jaun Mann andò lungo la Pitt Street Mall, una via del centro di Sydney, con un cartello con su scritto “Hugs Free”, dando abbracci ai passanti.
In un mondo in cui tutti facciamo ormai le stesse cose, il fatto deve essere sembrato perlomeno singolare.
Intervenne la polizia, che cercò di bloccare il giovane (evidentemente, c'era il controllo anche sugli abbracci).
Hanno dovuto fare una petizione e raccogliere 10mila firme, per annullare i divieti, allontanare i poliziotti, ed essere abbracciati.
Se ne occupò persino il “Sydney Morning Herald” del 6 novembre 2004.
Il 22 settembre 2006 il filmato sugli abbracci di Juan Mann fu messo on-line su youtube (http://www.youtube.com/watch?v=vr3x_RRJdd4&translated=1). Da allora il fenomeno ha avuto una continua espansione in molti paesi del mondo.
Il video è stato visto da quasi 5 milioni di persone nel mondo. Il fenomeno dei "free hugs" è diventato un movimento internazionale, nato spontaneamente e che oggi ha coinvolto 24 nazioni, Italia compresa.
Ci ha provato con molto successo anche un 24enne di Shangai, che regalava abbracci nella sua città, prima di essere arrestato.

Insomma, in un mondo in cui molti sono presi da diverse preoccupazioni, e altri da mille ansie, persino un abbraccio fra sconosciuti avrebbe un valore. Un atto molto semplice, e fatto senza alcuno scopo riconducibile al sistema: né per profitto, né per accettazione sociale, né per altri vantaggi. Soltanto per sentirsi bene e far sentire meglio gli altri.
Gesto inutile? Non opportuno fra sconosciuti?
Non per chi lo pratica, che racconta:
“Quando me lo hanno proposto da parte mia è partito un "no!" secco... sono molto timida e pensavo di non esser capace ad avvicinare e coinvolgere persone sconosciute. Ho avuto poi modo di guardare in rete vari video abbracciosi e mi sono commossa, ho sentito qualcosa di davvero importante dentro. Mi ha dato coraggio il fatto che eravamo in gruppo e ... dopo la prima persona che si è avvicinata ricambiando un abbraccio forte e sentito ho respirato profondamente, mi sentivo benissimo, sì ero pronta! (Iolanda Alberti)”

“Mi chiedi di scriverti a caldo le mie sensazioni, le mie impressioni.. se dovessi veramente farlo, come me lo chiedi, dovrei chiederti di entrare nel mio cuore e di vedere gli spasmi che volta per volta mi irrorano, dovrei chiederti di vedere con i miei occhi, lucidi, quello che mi circonda, dovrei chiederti di capire e accettare, come faccio io, chi mi sta vicino, dovrei chiederti di sentire il profumo del contatto che mi riempie i polmoni. Se dovessi veramente farlo sicuramente il modo migliore che potrei usare sarebbe quello di abbracciarti e regalarti in una volta sola il mondo. (Gabriele)”

“E’ stato stupendo, un'esperienza bellissima e' difficile spiegare a parole, eravamo molto titubanti sulla reazione dei padovani..e invece.....siamo tornati a casa con il cuore colmo di gioia.. e un grazie particolare a chi ha abbracciato con me... e soparattutto a chi si e' fatto abbracciare un pensiero particolare ad una signora che ci ha detto "non sapete quanto bisogno ne avevo" e aveva le lacrime agli occhi........un'esperienza da rifare al piu' presto
vi abbraccio tutti (Terry)

Sono davvero commossa..si è creata nella piazza un'atmosfera gioiosa, positiva, di festa.. ovunque ti giravi vedevi abbracci e sorrisi. I turisti chiedevano anche la foto. Io poi mi son montata su due ali da angioletta-fatina, fatte con le mie mani la sera prima, ma non credevo che avrei avuto il coraggio di indossarle, e invece.. La cosa meravigliosa è che davvero ti senti UNO con tutto e tutti..e respiri ARMONIA, GIOIA..UNIONE. (Cecilia)” (2)

Il fenomeno è diventato un “grande abbraccio che gira per il mondo”, finalizzato ad avvicinare le persone, a far sentire loro che non è proprio vero che siamo “estranei”.

Gli “abbracci gratis” si sono visti anche in diverse città italiane, come Roma, Napoli, Milano e Bari.
Gli elargitori di abbracci usano lo pseudonimo di “one mann” e hanno reso meno tetro anche il cielo di Milano. Racconta un “one mann” di Varese, che ha regalato abbracci a Milano:

“In un periodo di così tanta indifferenza, distacco a volte, un abbraccio è tutto ciò di cui abbiamo bisogno… perchè tutti possiamo essere portatori di un gesto semplice e gentile, come l’abbraccio, senza bisogno di un'identità precisa”.

Spiega Michele Luciano, uno degli organizzatori degli abbraccia gratis di Napoli: “Vogliamo mettere in circolo la gioia e la voglia di vivere, l'abbraccio rappresenta uno shock energetico… Noi diamo soltanto l'input. Chi riceve è subito pronto a donare, a sua volta, una piccola manifestazione di affetto”. Dice un’altra volontaria: “C'è chi ha i figli lontano, chi ha appena litigato, chi ci racconta i problemi di tutti i giorni, ma tutti ci lasciano con un sorriso e ci ringraziano per un gesto di cui avevano bisogno”. (3)

Dal 2004 si sono avute parecchie "Giornate abbracciose", più facili nei periodi natalizi, in cui tutti cerchiamo di essere più buoni e vicini agli altri.
Sono nati diversi siti che promuovono gli abbracci gratis, e alcuni “Free Hugs” hanno deciso di fare viaggi per promuovere la pace, dall'Italia a Gerusalemme, portando gli abbracci in Bosnia, Turchia, Siria, Libano, Israele e Palestina.
Nel nostro paese c’è Pietro Abbondanza, che ha creato il sito www.abbracciliberi.it, per diffondere il movimento del “Free Hugs” in Italia. Spiega Pietro:
“All'inizio ho provato un po' di imbarazzo e avevo anche il timore che nessuno potesse rispondere favorevolmente alla mia offerta di farsi abbracciare, ma poi dopo il primo abbraccio, ho rotto il ghiaccio, e tutto è diventato più facile… La sensazione particolarissima che si prova già dal momento in cui uno sconosciuto ti si avvicina a braccia aperte è quella di incontro con l'altro, un incontro che rompe all'istante qualsiasi barriera e che non te lo fa più percepire come sconosciuto ma come un amico… in tantissimi hanno accolto la nostra offerta abbracciandoci, per alcuni invece eravamo trasparenti, ci passavano davanti e non ci vedevano, (purtroppo nella loro realtà queste cose non succedono), ma la gran parte di quelli che non si sono fatti abbracciare hanno comunque accolto la nostra iniziativa con un sorriso. Questo, a mio parere, è la cartina tornasole di un'umanità, che sta risvegliando la propria coscienza planetaria e che sta gettando le basi per un mondo di domani che non potrà che essere, a mio giudizio, migliore. 
In questa epoca, che secondo gli occhi di tv e giornali sembra immerso nel caos più totale, ogni abbraccio donato è un piccolo seme di questa nuova umanità… Tanti piccoli semi trasportati da un lieve e caldo vento di gioia, pace e speranza per un mondo migliore… Nell'abbraccio c'è il gesto del perdono, un perdono che viene rivolto prima a se stessi e che consente di lasciarsi andare, di rivedere le proprie certezze, oltrepassare le proprie barriere mentali che ci impediscono di entrare in contatto profondo con chi abbiamo di fronte. Quando accettiamo di rompere i nostri schemi e ci apriamo fiduciosi alla vita e all'umanità, ecco che si innesca in noi un processo di guarigione per la nostra anima, perché entriamo nella dimensione dell'unità, liberandoci dalla gabbia mentale della separazione… L'esperienza degli abbracci per me è stata davvero importante e attraverso di essa ho rafforzato il rapporto con mia madre, che non vedo spesso perché vive in un'altra regione. Sono riuscito a coinvolgerla dapprima facendole vedere i video e successivamente invitandola a fare insieme l'esperienza. Devo dire che è stato un momento di condivisione straordinaria che ci ha riavvicinati moltissimo… da allora ogni volta che ci incontriamo io e la mia mammina come prima cosa ci salutiamo con un forte e caloroso abbraccio… Fantastico no?” (4)
Sul sito
http://www.abbracciliberi.it/ si legge:
"Abbracciare è..."stringere nelle proprie braccia premendo verso il proprio petto in una espressione di amore e di affetto"
é "non siamo soli"
é "io sono uguale a Te"
é "ritrovarsi Cuore a Cuore"
é "siamo i figli di uno stesso cielo"
é "io ci sono, sono qui con te adesso"…
é "sentirsi tutti uniti"…

Come si reagisce ad un abbraccio inaspettato da parte di una persona sconosciuta?
Di solito la prima reazione è di sorpresa, stupore, ma molti poi rispondono positivamente, aderendo all’iniziativa. Ovviamente c’è chi si ritrae diffidente o impaurito dallo strano fenomeno.

Forse un abbraccio ha a che fare con molto di più di quello che crediamo. Paradossalmente, forse persino la situazione economico-politica attuale, potrebbe averne a che fare. Esagerazione? Assurdità?
E che dire del fatto che per avere una situazione stabile e armonica all'esterno dobbiamo prima essere in armonia con noi stessi e i nostri simili? Un paese diviso, in cui ci sono rivalità e contrasti fra i sessi, in base all’appartenenza religiosa o al colore della pelle, non può essere un paese in pace e in armonia.
Qualcuno può dire: ma cosa c’entra l’abbraccio?
Abbracciarsi è un segnale di vicinanza (non solo fisica), di pace, di voler comunicare con l’altro. L’umanità vuole la felicità, ma non potrà averla se non quando tutti si rispecchieranno in tutti, e cesseranno le guerre e gli odi legati all’appartenenza ad un gruppo (religioso, etnico, ecc.).
Quando ci si abbraccia si rilascia tensione, si fa scorrere liberamente energia. L’abbraccio è un gesto di accettazione: ci si sente accettati dall’altro e si accetta l’altro.
Abbracciarsi dà un senso di appartenenza, di essere amati. Si tratta di bisogni fondamentali degli esseri umani.
Tali bisogni producono emozioni, e le emozioni sono la base dei nostri vissuti e della possibilità di crescita.
La nostra cultura ci ha imposto di tenerle sotto controllo, anche quando potevano esprimere semplicemente le nostre peculiarità creative. La repressione emozionale, da molti non riconosciuta, sarebbe alla base di molti conflitti e scompensi. Chi non accetta e non fa crescere le sue emozioni, si reprime, e sperimenta che in lui c’è qualcosa che non va, non si ama, e se non si ama non può amare gli altri.

Abbiamo vissuto per molto tempo in una cultura di guerra, che ci ha inculcato che dobbiamo amare quelli che appartengono al nostro “gruppo”, che sentiamo simili a noi, e possiamo escludere gli altri, giudicarli sulla base di caratteristiche “esteriori”. Ma una cultura di pace e armonia esige altro: esige la nostra capacità di percepire anche chi ci appare diverso da noi come nostro simile. In effetti, egli lo è.
In Oriente si dice "Siamo tutti foglie dello stesso albero" ad indicare che c’è uno stretto legame fra noi e gli altri, e non è un legame inventato da dottrine religiose o da ideologie, è un legame reale, dovuto al fatto che siamo fatti della medesima essenza. Capire questo significa cercare di capirsi, far prevalere il desiderio di vicinanza all’altro piuttosto che l’ostilità o l’indifferenza. Può emergere l’esigenza dell’ascolto, di accettare l’altro così com’è o di guardare in lui i pregi piuttosto che i difetti. Vuol dire anche imparare a gestire i conflitti con i nostri genitori, il nostro partner, i nostri figli o i nostri colleghi.
In poche parole, far nascere una nuova cultura, che non può essere definita soltanto cultura della pace, essa è anche una cultura del vero legame fra tutti gli esseri umani. Quel legame che tutti sentiamo nei nostri cuori, ma che forse soltanto poche volte ci siamo permessi di vivere fino in fondo.
Se ci percepiamo "simili" non può esistere in noi alcuna pulsione bellica. Come scrive la psicologa e giornalista Marcella Danon:
“Il miglior antidoto contro la guerra è l'avvicinarsi della gente: quando l'altro non è più l'archetipo del nemico, ma viene riconosciuto simile a noi, nella sua umanità… Le guerre diventeranno sempre più anacronistiche, perché l'umanità si sta mescolando sempre di più, presunti buoni e cattivi non abitano più in terre lontane, ma la gente, vivendo insieme, sta imparando a conoscersi e a riconoscersi. La guerra è, per definizione, contro i cattivi, contro lo straniero, contro il nemico, contro l'"ombra", che altro non è il famoso "lato ombra" presente in ognuno di noi, di cui parla Jung. Quanto meno si conosce l'altro, tanto più diventa facile attribuirgli tutti i difetti di questo mondo… L'impegno per la pace è, quindi, nell'accelerare questo processo e imparare a conoscersi bene. Conoscere se stessi, prima di tutto, per familiarizzare con una ricca, complessa e contraddittoria natura umana, e conoscere gli altri, riconosciuti molto più simili a noi di quanto sembri, una volta che siamo capaci di vederci per quello che veramente siamo.”(5)

Come concludere un articolo del genere?
Buoni abbracci a tutti!



Copyright © 2009 - all rights reserved.
Tutti i diritti sono riservati. Per richiedere la riproduzione dell'articolo scrivere all'indirizzo e-mail giadamd@libero.it


NOTE

1) KM Grewen et al, Psychosomatic Medicine 2005, 67:532-538
http://www.psychosomaticmedicine.org/cgi/content/abstract/67/4/531
2) Tratti dai siti italiani www.freehugscampaign.org |
siti italiani:
| www.regaloabbracci.it |
| www.abbracci-gratis.it |
| www.donoabbracci.it | 
| freehugs.splinder.com |
| mi sono regalata un abbraccio |
| Animasemplice for Free hugs Campaign |
3) http://genagenar.spaces.live.com/blog/cns!6D08F056C79FE5FA!531.entry?&_c02_owner=1%3F%3F
4) http://www.lamentemente.com/2009/04/19/forza-abbraccio-gesto-che-puo-cambiare-la-vita/
5) http://www.lifegate.it/essere/articolo.php?id_articolo=1021

Free Hugs Campaign - Official Page (music by Sick Puppies.net )

mercoledì

LE TRUFFE DEL CICAP (1 di 4)



Un video di Massimo Mazzucco sulle assurdità del gruppo che potrebbe essere chiamato di "moschettieri che difendono le presunte verità assolute di regime". Queste persone hanno sempre la verità in tasca, e la loro verità non viene proposta ma imposta, anche attraverso meccanismi che mirano a far ritenere "disturbate" quelle persone che la pensano diversamente, in perfetto stile delle migliori dittature.
Il termine “debunkers” sarebbe in realtà usato in modo improprio per definire questi personaggi. Infatti, questo termine significa “demistificatore” ovvero colui che svela o smaschera le mistificazioni. Se usato ad indicare personaggi che fanno l’opposto, - ovvero per difendere il sistema cercano di creare confusione e di far accettare le mistificazioni - risulta un modo alquanto orwelliano di intendere il fenomeno.
Tale termine è stato associato a questi personaggi in modo erroneo, probabilmente dalle stesse persone che hanno creato il fenomeno e che hanno interesse a definirlo in modo positivo (si veda ad esempio, http://it.wikipedia.org/wiki/Debunker). Dalla definizione sembrerebbe che queste persone siano a caccia di “bufale”, ma in realtà sono le versioni ufficiali di alcuni eventi e la propaganda di regime a rappresentare una vera e propria “bufala” per tutti noi.
E’ troppo comodo, ora che grazie al web e a diversi studiosi onesti sappiamo come stanno veramente molte cose, creare una sorta di scontro fra (falsi) “debunkers” e presunti “complottisti” per far credere che si tratti di un gruppo “ragionevole” contro un gruppo di “paranoici”. Forse nemmeno Orwell avrebbe saputo fare di meglio (si legga http://lanuovaenergia.blogspot.com/2009/07/le-critiche-manipolative-le-pratiche.html).
Si consiglia di vedere il filmato per intero. Non si tratta di voler "provare" se esistono gli ufo o se esistono poteri "paranormali", ma di mostrare che questi personaggi esibiscono una sicurezza insolita nello smentire queste realtà, come se volessero imporre a tutti il loro punto di vista. Come se, in virtù della loro vicinanza al sistema avessero una sorta di supremazia nell'individuare la verità e il potere di giudicare negativamente chi la pensa diversamente. In parole semplici: si ergono a fonte di verità inoppugnabili. Vogliono imporre il potere "dell'esperto" contro ogni logica che suggerisce che un mondo in cui la maggior parte della popolazione vive in miseria o muore di fame, mentre una ristretta minoranza possiede ricchezze inestimabili ha qualcosa che non quadra.

(saranno cestinati i post non pertinenti o che mirano a disinformare facendo la stessa propaganda di regime che attanaglia i mass media).

lunedì

La vera ricerca dà fastidio



Brano scritto dal Dottor Stefano Montanari - Tratto da "Biolcalenda", nr. 8 di settembre 2009

Ad un lettore frettoloso potrebbe sembrare che quanto mi accingo a scrivere siano fatti miei e basta. Ahimé, non è così.
Per ragioni che non descriverà di nuovo, essendo state già oggetto di numerosi articoli e perfino di un libro, qualche anno fa noi - mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti, ed io, intendo - fummo privati dello strumento principe che ci permetteva di condurre ricerche intorno ad una scoperta scientifica molto importante di mia moglie, vale a dire certe interazioni delle polveri sottili ed ultrasottili con l'organismo. Essendo in corso un progetto europeo che Antonietta dirigeva, restare senza microscopio elettronico, ché quello era lo strumento, avrebbe significato il fallimento di anni di lavoro e l'annullamento di un utilissimo progresso scientifico.

Fu così che Beppe Grillo propose di dare pubblicità alla cosa e d'iniziare una raccolta popolare di fondi per acquistare un nuovo microscopio. 378.000 Euro erano la cifra necessaria, e 378.000 Euro furono raccolti nel giro di un anno giusto. lo partecipavo agli spettacoli di Grillo nel corso dei quali raccontavo qualcosa delle ricerche e, sempre pagandomi le spese, per oltre 200 volte in 12 mesi tenni conferenze pubbliche al termine delle quali mendicavo quattrini. Quattrini che arrivavano ad una onlus di Reggio Emilia resasi disponibile e la cui unica cura era quella d'incassare denaro.

E qui sta tutta la mia imperdonabile ingenuità: per evitare che qualcuno pensasse male, cosa che poi accadde lo stesso, io feci intestare l'apparecchio proprio alla onlus che ne diventò legalmente proprietaria. A questo punto, stando a quanto la presidentessa di quel l'associazione, tale Marina Bortolani, affermava, era necessario che il microscopio passasse burocraticamente attraverso un ente pubblico il quale, poi, lo avrebbe girato a noi.

Allora, dopo qualche mese di ricerca, io trovai il Centro di Geobiologia dell'Università di Urbino il cui direttore, prof. Rodolfo Coccioni, si prestò alla bisogna. Tutto bene fino a che, il 30 giugno scorso, mi arriva una raccomandata della onlus in cui questa mi comunica che, un paio di settimane prima, aveva "donato" il microscopio all'Università di Urbino. Questo dopo avermi tenuto all'oscuro di trattative lunghissime e, scrive la raccomandata, con il piacet di Grillo.

Qualcuno potrebbe chiedersi quale voce in capitolo abbia Beppe Grillo e che cosa mai c'entri in una bizzarria dei genere. Qualcuno potrebbe pure chiedersi per quale motivo al mondo Grillo avrebbe avuto piacere che il microscopio ci venisse tolto dopo che, con una chiarezza cristallina, lui stesso aveva affermato innumerevoli volte nei suoi spettacoli e aveva assicurato per almeno un paio d'anni sul suo blog che quei soldi erano raccolti esclusivamente perché noi - mia moglie ed io - potessimo avere quell'apparecchio. Addirittura il sito Internet della onlus Carlo Bortolani contiene un lungo post datato aprile 2007 in cui si conferma che solo noi siamo i destinatari dei microscopio e che solo mia moglie può decidere come e dove usarlo. In aggiunta, tutto questo è riportato pari pari nel documento originale di accordo tra la onlus e il Centro di Geobiologia di Urbino.

Se si vuole un esempio di stravagante ipocrisia, poi, si legga la condizione con cui il nostro microscopio finirà in un'università dove non esiste la minima esperienza riguardo la ricerca per la quale tutto quel denaro è stato raggranellato: noi potremo usare l'apparecchio "almeno una volta la settimana". Lasciando da parte il fatto che tra casa nostra ed Urbino ci sono più o meno 3 ore di viaggio, per prima cosa, la nostra ricerca richiede almeno 8 ore al giorno d'impiego dell'apparecchio per almeno 5 giorni la settimana e, non di rado, il suo uso notturno in una modalità automatica (che ci appartiene e che non daremo certo ad Urbino). Poi ci vogliono ambienti particolari e apparecchiature a contorno che laggiù non esistono. Poi occorrono tecnici che sappiano preparare i campioni da osservare e, ancora una volta, ad Urbino non c'è quel tipo di personale. E il denaro? Mantenere un aggeggio dei genere è quanto mai costoso e, notoriamente, nelle università non c'è una lira.

Perché, allora? La manovra è fin troppo ovvia: come si era già fatto quando ci si tolse la disponibilità dei primo microscopio, la nostra ricerca deve essere "imbavagliata". Imbavagliata è il termine che usava a suo tempo Grillo quando, forse, chi ne cura gli'interessi non si era reso conto di che cosa significasse davvero darci una mano.
Le evidenze che noi mostriamo in modo tanto impietoso quanto incontestabile danno fastidio, e tanto, a chi lucra sull'incenerimento dei rifiuti vendendosi la nostra salute, a chi vuole costellare la Penisola di demenziali impianti "a biomasse", a chi ficca le ceneri da immondizia nel cemento, a chi infila particelle inorganiche nei vaccini, a chi particelle analoghe aggiunge agli alimenti industriali, e così via.

Ora, poi, che i nostri risultati sono arrivati molto in alto e minacciano di arrivare ancora più su, il fastidio diventa pericolo. Insomma, a scanso di guai, meglio toglierci dai piedi e farlo in fretta. Ciò cui la onlus Bortolani non aveva pensato è che qualcuno avrebbe reagito. Ora un avvocato sta ricevendo centinaia di messaggi da persone che hanno donato quattrini per noi e che si vedono beffate, e quell'avvocato, forte dei mandati ricevuti dai donatori, procederà contro onlus ed Università di Urbino. Tantissimi messaggi indignati arrivano all'Università ed alla onlus la quale, magari un po' ingenuamente perché spesso di quei messaggi io ricevo copia, risponde a tutti che le proteste si limitano a 13 (!) lettere.

Ecco: questi non sono fatti miei e basta. Con quel microscopio noi abbiamo ottenuto risultati di eccellenza assoluta, abbiamo ricerche delicatissime in corso, mia moglie è a capo di un progetto europeo che vede coinvolti 10 centri di ricerca su 6 paesi diversi, siamo riusciti a far passare una legge che riconosce le patologie da "uranio impoverito e nanoparticelle" cosicché i ragazzi che tornano malati dalle missioni "di pace" non saranno più lasciati morire come cani, stiamo ostacolando lo scempio che si fa costruendo inceneritori ovunque, stiamo lavorando su di un sistema per disinquinare l'aria cittadina, e così via. Tanto business non proprio pulito è messo a rischio.
Più di qualcuno consiglia a mia moglie e a me di andarcene da questo squallido paese. Ma noi resteremo: andarcene significherebbe riconoscere che la mascalzonaggine è imbattibile. E noi siamo abituati a vincere.
Fonte: www.disinformazione.it

Noi siamo dalla parte del Dott. Montanari perché in un paese veramente civile la ricerca dovrebbe esser fatta tramite canali ufficiali che comunque noi paghiamo, anche se evidentemente sono controllati da chi ha interesse a fare in modo che certe cose non si scoprano e non si sappiano.
Siamo dalla parte di Montanari perché chi parla contro di lui lo fa con argomenti del tutto propagandistici, accusandolo ingiustamente di pensare soltanto al guadagno e di millantare meriti inesistenti. Se davvero fosse così egli non sarebbe interessato ad una vera ricerca, perché si guadagna di più ad essere asserviti che ad essere indipendenti (vedi guadagni di Grillo), e se davvero fosse privo di talento scientifico chissà perché lo temono tanto...

(saranno cestinati i post non pertinenti o che mirano a disinformare i lettori o ad intimidire gli autori di questo blog)

sabato

IL TRADIMENTO DI GRILLO





Nel 2006, tramite la rete, Grillo ha contribuito a raccogliere i fondi per comprare a Stefano Montanari e ad Antonietta Gatti, i due ricercatori che studiano le nanoparticelle e le patologie correlate, un microscopio elettronico a scansione ambientale del valore di 378.000 euro.
Oggi il microscopio è stato sottratto in modo disonesto e Grillo non si interessa più alla questione, abbandonando i due ricercatori "scomodi".
Si consiglia di vederlo tutto per capire bene la situazione.
(Saranno cestinati i post non pertinenti o che mirano a disinformare).

giovedì

SINDROME DEI VACCINI O DEI BALCANI? 1/3



Il caso dei militari che si sono ammalati prima ancora di andare all'estero, dopo aver fatto i vaccini.
Guardatelo fino alla fine per capire cosa sono i vaccini.

VIGNETTE