domenica

LA CACCIATA DEGLI AMBASCIATORI

Di Antonella Randazzo





Negli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo, i mass media parlavano spesso dell’America Latina, di solito in riferimento a colpi di Stato, a Desaparecidos o a Cuba. Oggi sembra scomparsa dalle cronache, come se non succedesse mai nulla di importante. Eppure in alcuni paesi del Sud America, come il Venezuela e la Bolivia stanno accadendo cose relativamente importanti.
I presidenti di questi due paesi, rispettivamente Hugo Chávez e Evo Morales, vengono spesso dileggiati dai mass media statunitensi, e talvolta (per quel poco che se ne parla) anche da noi. Si offre un’immagine ambigua, strana, negativa di questi presidenti. Addirittura nei documenti ufficiali le autorità statunitensi definiscono Chávez “fascista” (senti chi parla!).
Ma anche se si possono trovare errori nell’operato di queste persone (nessuno è perfetto), né Chávez né Morales hanno mai aggredito paesi stranieri, né fanno guerre o impongono dittature a diversi paesi per il controllo delle risorse e per la sottomissione dei popoli, come fanno le autorità statunitensi.
Occorre considerare che sia il Venezuela che la Bolivia, come molti altri paesi del mondo, subiscono controlli da parte degli Usa, nel tentativo di limitare i poteri delle autorità locali, e per impedire che altri paesi del Sud America, seguendo il loro esempio, riescano a rafforzarsi a tal punto da sfuggire al controllo.
I falchi degli Usa stanno col fiato sul collo a tutte le autorità sudamericane, con la differenza che alcune possono manovrarle completamente ed altre no. Quelle che non riescono a manovrare sono le stesse che vengono disprezzate attraverso i media e fatte passare per “dittatori”.

Il noto scrittore Luis Sepúlveda spiega quello che sta accadendo in Venezuela e in Bolivia:
“Finalmente, dopo un Salvator Allende, un presidente latinoamericano (si riferisce a Chávez) osa trattare gli statunitensi con decisione. Ciò che gli Usa fanno in Bolivia, promuovendo il separatismo e le azioni violente nell’Oriente del paese, ricorda molto ciò che fecero in Cile per destabilizzare il governo di Allende, tra il 1970 e il 1973… Gli Usa sono sempre vissuti, cresciuti e sopravvissuti in guerra: non conoscono altra normalità che la guerra. E’ quindi necessario provocare la Russia con lo scudo antimissili in Polonia e Repubblica Ceca, con l’ampliamento della Nato alla Georgia e, infine, provocando l’America Latina. L’imperialismo Usa è molto più reale di quanto lo sia la retorica della timida sinistra europea ed è pericolosissimo, perché una bestia ferita è una bestia che si rialzerà solo se riuscirà ad inventare conflitti o guerre sporche… Morales è stato eletto democraticamente. E’ l’unico rappresentante della democrazia boliviana… coloro che gridano “morte agli indios!” sono quella minoranza di discendenti europei che hanno sempre sfruttato il popolo. In Bolivia l’85% della popolazione è indigena, povera e mantenuta arretrata da secoli: Morales è il presidente di quella maggioranza… oggi lo Stato boliviano deve soffocare la sedizione e i razzisti che, con la complicità degli Usa, tentano di sabotare un governo che vuole ridare dignità al suo popolo… Obama è il volto gentile dello stesso impero, della stessa idea di supremazia… sarà credibile solo quando dirà: ‘non vogliamo essere temuti, ma vogliamo essere rispettati’. Ma dire questo significherebbe negare il cuore dell’idea imperialista che ogni yankee deve avere se vuole partecipare alla politica”. (1)

I paesi sudamericani, sempre più spesso, non seguono i diktat di Washington. Ad esempio, i rapporti commerciali fra il Venezuela e l’Iran sono splendidi. I leader dei due Paesi si sono incontrati diverse volte per mettere a punto importanti progetti. Sul mercato venezuelano sono stati lanciati alcuni modelli di auto costruite in collaborazione con l’Iran. Ad un reparto di cadetti delle Forze Armate venezuelane sono state consegnate autovetture costruite da Venirauto, la fabbrica irano-venezuelana inaugurata da Mahmoud Ahmadinejad e Hugo Chávez. Anche nel comparto energetico esistono forti legami fra i due paesi. Sia Teheran che Caracas intendono rafforzare il loro peso all’interno dell’OPEC, e per questo Caracas sta portando avanti esplorazioni nel sottosuolo, in cui potrebbero essere trovati miliardi di barili di greggio, che incrementeranno le riserve venezuelane. Gli accordi venezuelani con Teheran prevedono la creazione di una compagnia mista, per implementare infrastrutture petrolifere e trasportare il greggio.

Nel settembre dello scorso anno, il presidente boliviano Morales ha definito l’ambasciatore statunitense Philip Goldberg “persona non gradita” e lo ha espulso, scoprendo il suo ruolo nei tentativi di destabilizzare il paese indebolendo il suo governo.
Il piano consisteva nel pagare persone per manifestare e chiedere “autonomia” oppure la restituzione dell'aliquota, derivante dalla vendita di gas, che il governo ha scelto di versare in un fondo pensione per aiutare gli anziani indigenti.
Molti di questi manifestanti si mascherano il volto, e commettono atti di vandalismo, distruggono strutture istituzionali, lanciano bombe molotov e inneggiano alla morte di Morales. Alcuni di essi hanno commesso un vero e proprio atto terroristico, attaccando il gasdotto che trasporta il gas verso il Brasile e l'Argentina, danneggiando la società statale Ypfb.

Dopo questi fatti, Chávez ha voluto esprimere solidarietà al presidente boliviano attuando l’espulsione dell’ambasciatore statunitense in Venezuela. Per tutta risposta, le autorità Usa hanno espulso l'ambasciatore venezuelano a Washington, Bernardo Alvarez.
Chávez aveva accompagnato l’espulsione con le parole: “Gli Usa devono portare rispetto ai paesi latinoamericani. Questo chiediamo, che sia portato rispetto. E fino a quando non cambierà il governo Usa l'ambasciatore non potrà rientrare”. (2)

Si sa che le vendette delle autorità Usa non si limitano all’espulsione di un diplomatico, e dunque, dal settembre dello scorso anno, sono ritornati i tentativi di spodestare Chávez attraverso la pianificazione di un colpo di Stato. Ma non siamo più negli anni Settanta e Ottanta, oggi le autorità dell’America Latina sono preparate a tutto, e non sottovalutano nessuno yankee inviperito dalla perdita del controllo sui loro paesi. Sia Morales che Chávez sono riusciti a sventare più di un golpe, grazie all’appoggio della popolazione e di gran parte del governo, e alla consapevolezza della realtà.
Il presidente venezuelano non usa eufemismi quando si tratta di definire l’avversario: la frase “Ya basta de tanta mierda de ustedes, yanquis de mierda”, non necessita di traduzione. Se possibile, ancora più eloquente è la frase: “Non siamo disposti a morire come Bolivar, a Santa Maria, o Allende, alla Moneda... Se l'oligarchia o i lacché diretti, finanziati e armati dall'impero abbattono uno qualsiasi dei nostri governi, avremo luce verde per iniziare qualunque tipo di operazione che restituisca il potere al popolo in questi paesi fratelli". (3)

Anche altri presidenti di paesi dell’America Latina, come Inácio Lula da Silva, sono solidali nel non accettare governi golpisti, sostenendo i legittimi governi.
Il presidente dell’Ecuador Rafael Correa si sarebbe avvicinato alle idee bolivariane, facendo approvare una Costituzione all’avanguardia. Con le nuove leggi, viene rispettato il diritto all’emigrazione, viene riformato il settore sociale ed economico, e vengono riconosciute le unioni omosessuali.
Anche in Bolivia ha trionfato un nuova Costituzione, che rispetta i diritti delle popolazioni autoctone, che comprendono la stragrande maggioranza della popolazione. L’obiettivo principale è quello di utilizzare le royalties sul gas per migliorare la condizione dei poveri.
Anche Chávez ha vinto da recente il referendum costituzionale, potendo così modificare la Costituzione.
Alcuni intellettuali avanzano critiche sostenendo che una politica del genere potrebbe rischiare di riproporre il “mito della personalità”, mostrando questi presidenti come eroi carismatici, capaci di azioni grandiose proprio in virtù della loro forte personalità. D'altronde, occorre anche confrontarsi con i fatti e valutare se è auspicabile avere fantocci al soldo di Washington oppure forti personalità che aiutano i più deboli e offrono un assetto più umano. Da quando è al governo Chávez il paese ha vissuto un notevole sviluppo, ad esempio, gli indici di povertà sono scesi dal 50% al 30%, e la disoccupazione si sarebbe dimezzata (dati del CEPAL, l'istituto di studi economici delle Nazioni Unite). Ovviamente, nessun pupillo di Washington avrebbe mai fatto altrettanto.

Questi presidenti sono del tutto consapevoli del significato delle guerre attuali, e per questo non sostengono né le autorità Usa, né l’operato dei governi israeliani. Secondo Chávez, Israele è il "braccio assassino" degli Stati Uniti e la guerra contro i palestinesi potrebbe cessare se Barack Obama lo volesse.
Il genocidio dei palestinesi sarebbe dunque voluto da Washington e sostenuto dalle autorità europee.
Finora Obama non avrebbe dato segni chiari di voler cambiare la situazione in Medio Oriente, e Chávez ha commentato: "anche se Obama sarà peggiore del presidente uscente, a noi non importa perché noi siamo liberi". (4)
Il presidente venezuelano ha condannato l’invasione di Gaza e le relative operazioni belliche costate la vita a molti civili. Ha anche espulso l’ambasciatore israeliano dal Venezuela, e inviato aiuti alla popolazione palestinese. La sua netta posizione a difesa dei diritti dei palestinesi gli è costata l’accusa di “antisemitismo”, fattagli attraverso il quotidiano israeliano Haaretz.
L’accusa di antisemitismo è diventata l’asso nella manica per zittire chi denuncia i crimini delle autorità israeliane.
Certo è meglio essere accusati ingiustamente di antisemitismo che essere complici di massacri.

Dunque, mentre i leader europei sono sempre più corrotti e sottomessi all’oligarchia finanziaria imperante, i presidenti dell’America Latina, stanchi di un imperialismo secolare, cercano supporto reciproco e appoggio da parte di altre potenze, come la Russia, per poter governare senza l’oppressione del vecchio colonizzatore. Cambiare si può, se si vuole.



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NOTE

1) Intervista a Luis Sepúlveda, Epolis Milano, 16 settembre 2008.
2) http://www.peacereporter.it/dettaglio_articolo.php?idart=12181
3) http://achtungbanditen.splinder.com
4) Fonte: AdnKronos/Dpa, 17 gennaio 2009.

lunedì

A SCUOLA DI SOSPETTO Chi ha rubato la marmellata?

Di Antonella Randazzo




Certamente la rete Internet offre non pochi vantaggi. Non ultimo quello di poter essere informati su argomenti glissati dai mass media. Negli ultimi anni, sulla rete sono emerse informazioni sconvolgenti, che hanno impietosamente svelato un sistema corrotto, mafioso e criminale, offrendo prove inoppugnabili. Abbiamo potuto comprendere cos’è davvero il “terrorismo”, cos’è il Signoraggio bancario, e cosa succede veramente in Medio Oriente o nel Terzo Mondo. Abbiamo appreso dell’esistenza di un’élite di personaggi che sono disposti a tutto, anche a massacrare, pur di mantenere ricchezze e potere.
Tutto questo ha sicuramente arricchito la nostra consapevolezza della realtà, talvolta aggiungendo stupore e raccapriccio agli animi.
Assimilare tali verità, rimanendo ancorati ad una equilibrata visione di ciò che siamo e di ciò che possiamo fare per migliorare il mondo, non è facile, e di sicuro richiede una notevole maturità emotiva.
In altre parole, l’apprendere aspetti della realtà attuale assai inquietanti risulta un evento talmente scombussolante da poter esigere un certo lavoro sulla propria parte emotiva, affinché tali verità possano produrre frutti positivi, non rimanendo allo stato di rabbia, sospetto e diffidenza.

Come molti ormai sanno, l’attuale sistema si alimenta di emozioni negative, che sono quelle che producono un senso di impotenza, e dunque impediscono l’avere sufficiente fiducia in se stessi da cambiare le cose. Capire la vera realtà potrebbe non essere molto utile se si dovesse continuare ad alimentare le medesime emozioni negative o se, addirittura conoscere certe verità accrescesse la rabbia e la paura, a tal punto da renderci sospettosi e diffidenti. Se non si elaborano in modo costruttivo tali sentimenti si può continuare ad alimentare un sistema che ci vuole tutti contro tutti, impauriti e pieni di rancore, che potrà essere sfogato contro chi è vittima piuttosto che contro il carnefice.

La fiducia negli altri nasce dalla reciproca conoscenza e dall’instaurarsi di una naturale empatia, che porterà all’amicizia o alla comune solidarietà fra esseri umani. Ciò è difficile che avvenga attraverso Internet, in cui c’è il limite di non poter produrre diretti rapporti empatici fra le persone, facendo rimanere allo stato iniziale di diffidenza.
Qui non si sta dicendo che non sia possibile trovare amici in rete, ma che per alimentare una completa fiducia occorre potersi frequentare di persona, altrimenti l’altro non rappresenterà che le nostre idee sulla sua “immagine” offertaci tramite la rete. Ovviamente, in alcuni casi tali rapporti sono comunque positivi anche se rimangono "virtuali".

Da recente, alcuni studiosi hanno messo in evidenza che Internet non è soltanto un canale tecnologico di informazione o di attività sociali ed economiche, è anche un luogo virtuale che produce effetti sul pensiero e sul comportamento. Su Internet si comunica, e la comunicazione è un rilevante fatto sociale.
Gli aspetti negativi di Internet, da capire e contrastare, sono diversi. Il contesto della rete è "asettico", non reale, privo della percezione di oggetti o persone reali, manca l'emotività e l'interazione sociale complessa che soltanto nella realtà si possono avere. Gli escamotage per esprimere parte delle emozioni, come il viso allegro o le interiezioni, non ci diranno mai qual era il vero tono o l'espressione del viso che li accompagnava.
Se definiamo la comunicazione come quell'insieme di possibilità di condividere conoscenze, esperienze e valori, atti a costruire nuovi modi di essere e nuove identità, comprendiamo come il computer non può sostituirsi alla realtà, anzi, può essere nocivo nella misura in cui ci fa credere di poter fare a meno dell'esperienza reale, sostituendola del tutto o in parte con quella virtuale.
Internet, essendo soltanto uno scherno, non può creare rapporti sociali fortemente empatici, in cui è facile avere fiducia. Anche se oggi moltissime persone “socializzano” tramite la rete, molte di esse hanno piena fiducia soltanto nelle persone a loro più vicine, con le quali interagiscono di persona. L’empatia è fondamentale nei rapporti umani costruttivi, e per questo essa viene intralciata dall’attuale assetto (Si veda: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/05/gli-impedimenti-alla-naturale-empatia.html).

Per i suoi limiti nell’interazione sociale, Internet potrebbe diventare, specialmente per le persone con una vita emotiva ancora non matura, una "scuola di sospetto", in cui si crea un esercito di sospettati, all’interno del quale si annaspa senza usare il corretto raziocinio e il giusto buon senso, che comunemente esiste nella vita sociale reale.

Alcune persone che apprendono l’esistenza di un gruppo criminale di potere e di personaggi corrotti che lo sostengono, possono sviluppare più diffidenza del dovuto, e iniziare a sospettare di tutto e di tutti. In alcuni forum i sospettati diventano, ad esempio, coloro che hanno ascendenze “ebree”, coloro che usano determinate parole, oppure che sono stati collegati ad altri personaggi “sospetti”. Altri passibili di sospetto possono essere coloro che citano frasi di autori “revisionisti”, che non usano determinate parole, o che dicono cose che non piacciono alla maggioranza. E se non si trovano elementi evidenti si può sempre scandagliare fra i possibili "doppi sensi", oppure ricorrere alle allusioni e persino alle insinuazioni. Insomma, trovare un sospettato è come bere un bicchier d'acqua. E dietro i sospettanti possono nascondersi anime ferite, persone che non sanno come uscire dal pantano dell'infelicità. Credono di poterlo fare attraverso palliativi, eludendo il duro lavoro su se stessi necessario per uscirne davvero.
In questo gioco dei sospetti si perde il senso della libertà di pensiero, e nel rincorrere gli improbabili colpevoli è assai facile che si perdano di vista quei pochi che invece dovrebbero suscitare legittimi sospetti.

Le capacità investigative o critiche possono essere assai preziose per capire la realtà, tuttavia, se esse non sono supportate da un equilibrio emotivo di base, possono oltrepassare i limiti e diventare come un boomerang: in tal caso, chi vorrebbe migliorare il mondo segnalando i “colpevoli” si ritroverà a provare sentimenti negativi verso molti, e potrà precipitare nell’antro dell’incapacità di provare sentimenti positivi verso i propri simili. Sentimenti indispensabili per avversare un sistema inaccettabile.

Le cose sono talvolta più semplici di ciò che si pensa. La persone che appoggiano l’attuale sistema, possono essere riconosciute seguendo alcuni, semplici criteri (si veda a questo proposito: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/08/insospettabili-gatekeepers.html).
Le persone corrotte hanno in genere molta visibilità mediatica, e quelle che agiscono come gatekeepers, nascosti nell’anonimato, non sono molti e si riconoscono perché agiscono proprio per seminare divisioni, diffidenza, per creare confusione e per screditare persone “scomode”. Con un minimo di criterio queste persone possono essere smascherate senza bisogno di mettere tutte le altre sotto processo. Basta mettere a fuoco i pilastri che reggono il sistema, e soprattutto capire i metodi posti in atto per fare in modo che le cose non vengano modificate (a questo proposito si veda: http://antonellarandazzo.blogspot.com/search?q=la+diseducazione+civile).
Il resto viene da sé, con un certo lavoro su se stessi per uscire dal condizionamento e leggendo buoni libri scritti da autori indipendenti. Non serve essere troppo sospettosi, trasformarsi in un novello ispettore Derrick o in un redivivo Perry Mason. Sempre pronti a puntare il dito contro qualcuno, nel disagio emotivo di vivere in un assetto che calpesta la natura umana. In questo panorama, si può perdere il giusto valore dell’esistenza umana, che non è quello di assecondare la realtà attuale, ma di contrastarla.
Per capire quanto possa essere funzionale al sistema il sentirsi perennemente sospettato e sospetto, basta accorgersi di quante produzioni televisive (e cinematografiche) abbiano come tema proprio il delitto. Oramai quasi tutte le sere almeno due o tre produzioni proposte in Tv trattano di morti ammazzati, persone sospette, o corse per acchiappare il colpevole. I nuovi eroi sarebbero poliziotti, carabinieri, medici legali e vari investigatori, che hanno il sospetto come professione. Questi thriller vorrebbero farci credere che la realtà umana è fatta essenzialmente di crimini, e che siamo tutti potenziali colpevoli.
C’è molto da fare, ma non si tratta di diventare segugi in pianta stabile. Se si eccede nello spirito investigativo, si rischia di sprecare energie, oppure di remare contro quello che si vuole realmente, che non è l’essere tutti contro tutti ma, al contrario, trovare la necessaria unione per realizzare un mondo migliore.

Rilassiamoci! E’ meglio alimentare fiducia che sospetto, considerando che la maggioranza delle persone che scrive nei forum o nei blog non ha visibilità mediatica di massa, e non viene pagato né da Partiti né da società di networking di regime. Dunque, non appartiene al sistema (altrimenti non sarebbe costretto a scrivere su un blog) e praticare ostilità fra di noi serve soltanto a creare un clima negativo, laddove sarebbe utile avere serenità e cooperazione.
Dunque, la diffidenza e il sospetto possono diventare un intralcio quando aumentano a dismisura, fino a comprendere molte persone, soppiantando quella fiducia e vicinanza emotiva che dovrebbero contrassegnare i naturali rapporti umani.
Internet potrebbe dunque diventare una “rete” che trattiene nelle sue maglie quei buoni sentimenti umani, in assenza dei quali non si va da nessuna parte. Occorre ricordare che il sistema attuale non potrebbe esistere in assenza di paura, sospetto, divisioni e diffidenza fra gli individui e i popoli.
Dalla paura e dalla rabbia nasce il sentirsi divisi e soli, e da ciò derivano le barriere di comunicazione, che, come in una spirale, alimentano sfiducia in se stessi e negli altri.
Quello che può indebolire e abbattere il sistema attuale è l’unione e l’amore fra le persone e i popoli; il superare il senso di rabbia e l’alimentare la fiducia in se stessi; lo smascherare gli inganni del potere, compresi quelli che ci inducono a metterci gli uni contro gli altri.
Per essere efficaci nella lotta al crimine, occorre andare su un sentiero oggi poco popolato: su tale sentiero si crea una realtà in cui il crimine è visto come inaccettabile e da estirpare come un male guaribile. Si tratta del sentiero basato sulla fiducia e sull’amore.
L’equilibrio emotivo e la capacità di discernimento sono le cose che più dovremmo cercare, non dimenticando che vale più la pena amare che sospettare.


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sabato

RIFIUTO DI COMBATTERE

Omer Goldman è una bella ragazza israeliana che sogna di fare l'attrice. E si rifiuta di servire il suo paese per non essere complice dell'occupazione militare dei Territori Palestinesi.
Fonte: http://www.radionetherlands.nl/

Omer Goldman ha 19 anni, è ebrea, vive a Tel Aviv, è una bella ragazza, e non è difficile pensare che realizzerà la sua aspirazione di diventare attrice.

Ma da quando aveva otto anni, ha anche un altro sogno: lavorare con un'organizzazione come Amnesty International, nella speranza di poter contribuire a creare un mondo migliore. Proprio ora, il suo modo di farlo è accettando la prigione. Scegliendo di andare in prigione piuttosto che servire l'esercito – un obbligo per tutti i giovani israeliani.

Omer Goldman non era destinata alla prigione. Per la maggior parte della sua vita aveva pensato che sarebbe entrata nell'esercito e divenuta un'eroina per tutto il suo paese. Dopotutto, suo padre è l'ex numero due del Mossad, ed è ancora considerato uno degli uomini più importanti nell'ambiente dei servizi di sicurezza israeliani. Sua sorella maggiore e la maggior parte dei suoi amici hanno compiuto il servizio militare senza discussioni.
Ma la seconda guerra in Libano iniziò a far cambiare idea ad Omer. Visitò Hebron, ed iniziò ad andare regolarmente nella West Bank a vedere come vivevano i palestinesi e come venivano trattati.

Proteste
Partecipava a manifestazioni di protesta, ed era con un gruppo di dimostranti in un villaggio della West Bank che stavano protestando contro un checkpoint, costruito senza necessità in mezzo ad un villaggio:
"Non avrebbe dovuto essere lì", dice, "l'avevano installato solamente per perseguitare gli abitanti del villaggio." Quando improvvisamente i soldati hanno iniziato a fare fuoco sul gruppo di dimostranti.

"Questo è l'esercito che crescendo pensavo avrebbe dovuto proteggermi ed aiutarmi", dice, e lo shock dell'accaduto è ancora evidente nella sua voce. Fu colpita alla mano da una pallottola di gomma, e da quell'istante seppe che non avrebbe mai indossato un uniforme di un esercito che commetteva tali azioni.

Un'esperienza significativa
Nel giorno in cui era previsto che si arruolasse, si rivoltò con un centinaio di sostenitori e rifiutò pubblicamente di entrare
nell'esercito. Fu immediatamente portata in cella e poi di fronte ad una corte militare dove il giudice – un ufficiale di alto rango – tentò di convincerla che poteva diventare un soldato e cambiare le cose da dentro.

"Potresti dare caramelle ai bambini palestinesi ai checkpoints", le disse, apparentemente senza ironia. La sua risposta – "dare le caramelle non cambia il fatto che sarei lì illegalmente" – lo esasperò così tanto che gli fu immediatamente data una sentenza più dura di altri obiettori di coscienza che erano comparsi in giudizio quel giorno.

Omer ha trascorso due periodi in carcere, nonostante la paura della prigione e il suo riconoscere che essere rinchiusa in una cella di media grandezza assieme a quaranta altre donne è stato orribile, afferma che, guardando indietro, quell'esperienza fu tra le più significative della sua vita.

Emarginata dagli amici
Omer è ora esente dalla leva per motivi di salute, ma continua a partecipare alle dimostrazioni, a denunciare tutto ciò che giudica ingiustizie commesse dai suoi concittadini e dal suo governo verso una popolazione civile innocente. La sua posizione le è costata moltissimo. Gli amici l'hanno emarginata, degli sconosciuti l'hanno aggredita e suo padre si rifiuta di avere più alcun contatto con lei.

Ma perché continuare? Perché mantenere questa posizione? La sua risposta è decisa: "perché quando terminerà questa Occupazione – tra venti o trenta anni, anche se spero che avvenga prima – potrò dire di aver fatto qualcosa, che non sono semplicemente rimasta a guardare questa ingiustizia... essere stata in prigione non avrà aiutato nessuno dei palestinesi che conosco, ma almeno mi sono battuta per quello che credo sia giusto – sostenere che la violenza non può essere
la risposta".

Note:
Titolo originale: "Refusing to serve"
Traduzione di Maddalena Parolin per www.peacelink.it

venerdì

POESIA DI SILVANO AGOSTI

Non a un amore dedico i miei versi
ma all'amore stesso,
al suo semplice splendore.
Come la luce del sole,
l´amore avvolge ogni cosa
senza badare a qualità o valori.
Vestito di amore divengo inaccessibile alla tristezza,
invulnerabile all'indifferenza.
"amare l'idea di amare ogni persona"
è la massima sfida alla mediocrità e al dolore.
L´amore rende prezioso qualsiasi sogno,
perfino quello chiuso nel mistero
delle quattro parole roventi:
"AMA IL TUO NEMICO"

Silvano Agosti.

lunedì

IL NOSTRO PICCOLO GRANDE CLOWN - Il carnevale dell’anima -

Di Antonella Randazzo



Da tempo immemore i buffoni, i pagliacci o i clown hanno avuto la funzione di suscitare la risata. A questo scopo si mascheravano e si comportavano da “diversi”, ovvero da sciocchi, sbadati, o da simpatici maldestri.
Non c’è nulla che non possa suscitare ilarità, come osservava Nietzsche, “falsa sia per noi ogni verità, che non sia stata accompagnata da una risata”.
In realtà, riuscire a far ridere è tutt’altro che facile. L’attore teatrale, mimo e pedagogo Jacques Lecoq voleva capire cosa facesse ridere, e chiese ai suoi allievi di far ridere; tutti cercarono in molti modi, inciampando o facendo smorfie, di far ridere, ma non vi riuscivano se non quando, imbarazzati e con aria triste tornavano al loro posto. A quel punto tutti ridevano, “Non del personaggio che pretendevano di presentarci, ma dell’attore stesso, messo a nudo”(1) . Non bisogna dunque affannarsi per diventare un comico, come spiega Lecoq: “meno cerca di recitare un personaggio, più l’attore si lascia sorprendere dalle proprie debolezze, più il suo clown appare con evidenza”(2) .
E’ la coscienza dei difetti, delle angosce o insicurezze a rendere capaci di far ridere, e riuscire a far ridere risulta un trionfo sui propri difetti, attraverso il coraggio di mostrarli.

Il clown tradizionale indossa una maschera, come per esorcizzare gli aspetti che impersona dal suo sé fuori dal clown. Egli sperimenta la libertà concessa soltanto a lui, che gli sottrae le sicurezze abituali, la camminata o l’abbigliamento “normali”. Può mostrarsi fragile senza suscitare timore, può vestirsi come vuole, e può far saltare le certezze quotidiane senza essere emarginato. Secondo Lecoq, il clown è sincerità e semplicità: “Con il clown, chiedo (agli allievi) di essere se stessi nel modo più profondo possibile e di osservare l’effetto che producono sul mondo, ovvero sul pubblico”(3).

La figura del clown non potrebbe esistere senza quell’insieme di problematicità e di inquietudine umana, che egli mostra in vari modi e con varie sfumature. Il clown appare incapace di dominare la realtà, capace soltanto di mostrare le assurdità e le follie che gli sono proprie. Egli sa esprimere ciò che è comunemente inesprimibile, o che è negato: la devianza, la stupidità, la distrazione o l’inadeguatezza.
Anche il cinema ha riproposto i clown, privi di trucco vistoso, poiché le scene dei film sono inserite in un ambiente realistico e non si svolgono su un palcoscenico. Il più celebre comico è Charlot, un personaggio dall’aspetto e dai modi buffi, che vive peripezie di vario genere, all’interno di scenari di povertà, alcolismo e fame, tipici delle masse di quegli anni. I suoi persecutori sono i poliziotti, oppure personaggi malvagi, che cercano di approfittarsi di lui o di sfogare la loro rabbia. Egli è spesso vittima delle circostanze, ma trova riscatto, suscitando nel pubblico simpatia e commozione. Charlot e altri personaggi presenti nei suoi film (come il piccolo vagabondo) appaiono come ribelli al mondo, e dunque non integrabili nella società. In realtà essi mostrano le fatiche e le sofferenze della classe inferiore, il cui destino può spesso dipendere dal caso. La bravura di Charlie Chaplin consisteva nel saper rendere le emozioni dei suoi personaggi. Anche quando interpreta il “Grande dittatore” oppure “Monsieur Verdoux” esprime una satira pungente, che, nella sua drammaticità, fa riflettere.

La satira, se di qualità, è sovversiva, in quanto fa emergere i paradossi e le incongruenze quotidiane o del sistema.
Il riso satirico è frutto di un’analisi acuta dello scarto fra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. Esso scaturisce dal disappunto e dalla frustrazione causati da un mondo che non è come promette di essere.

La satira di qualità può diventare un elemento di crescita e di maggiore comprensione della realtà. Per questo motivo, nei sistemi dittatoriali la vera satira viene censurata o tenuta in ambiti ristretti (ad es: in teatro), mentre la comicità più grossolana, fatta di luoghi comuni e banalità (es: volgarità, costumi grotteschi, ecc.), viene concessa alla “massa”.
La satira, come ogni tipo di libera creatività, si basa sul “cambiare il punto di vista”, ovvero sulla capacità di vedere la realtà in modo nuovo.
Scriveva Federico Fellini:
“Il clown incarna i caratteri della creatura fantastica, che esprime l’aspetto irrazionale dell’uomo, la componente dell’istinto, quel tanto di ribelle e di contestatario contro l’ordine superiore che è in ciascuno di noi. E’ una caricatura dell’uomo nei suoi aspetti di animale e di bambino, di sbeffeggiato e di sbeffeggiatore. Il clown è uno specchio in cui l’uomo si rivede in grottesca, deforme, buffa immagine. E’ proprio l’ombra. Ci sarà sempre. E’ come se ci chiedessimo: E’ morta l’ombra? Muore l’ombra? Per far morire l’ombra occorre il sole a picco sulla testa: allora l’ombra scompare. Ecco: l’uomo completamente illuminato ha fatto sparire i suoi aspetti caricaturali, buffoneschi, deformi. Di fronte a una creatura tanto realizzata, il clown – inteso come il suo aspetto gobbo - non avrebbe più ragione di essere. Il clown, è certo, non sarebbe scomparso: sarebbe stato, soltanto, assimilato. Cioè, in altre parole, l’irrazionale, l’infantile, l’istintivo non sarebbero più visti con un occhio deformatore, quello che li rende deformi”(4).

Secondo Jung, in un contesto repressivo lo sfogo può avvenire anche attraverso quegli aspetti considerati bizzarri o folcloristici: “L’Ombra, al nostro livello attuale di civiltà, è considerata una deficienza personale (gaffe, lapsus) e viene addebitata alla personalità cosciente come una sua mancanza…L’Ombra personale è per così dire la discendente di una figura luminosa collettiva. Questa, sotto l’influenza della civiltà, a poco a poco si disgrega e sopravvive soltanto in residui folcloristici dov’è difficile identificarla. Ma il suo nucleo principale si integra alla personalità e diventa oggetto di responsabilità soggettiva… ( il clown) Non ha coscienza di sé al punto che non costituisce un’unità, e le sue due mani possono litigare l’una con l’altra… Persino il suo sesso è facoltativo, malgrado i suoi attributi fallici: il briccone può trasformarsi in donna e generare bambini… rivelando così la sua originaria natura di creatore: dal corpo del dio si forma il mondo”(5).

Il buffone, in epoca Elisabettiana, era il “deviante” o colui che aveva deformità fisiche o problemi mentali. Coloro che volevano far ridere prendevano di mira i difetti umani, come l’avidità, l’avarizia, la rozzezza e la paura. Altre caratteristiche riprese dai clown erano l’eccentricità e l’ingenuità. In alcuni casi erano oggetto di derisione caratteristiche corporee come la magrezza, la grassezza o l’altezza.
Secondo lo studioso William Willeford, l’anomalia fisica e mentale dell’attore-Fool (attore comico) si ergono a simboleggiare l’uomo negli aspetti che non si integrano nella società, e che lo rendono “diverso” dagli altri: “Solo se si accetta la zona di follia che è dentro di noi si ottiene l’accesso ai contenuti creativi che essa cela …Il Fool tragico è in ciascuno di noi, e vuole essere riconosciuto, accettato, amato. La nostra umanità non può prescindere dalla sofferenza che ci causano la nostra inadeguatezza e la nostra goffaggine, la parte ridicola che talvolta ci tocca recitare nel grande spettacolo del mondo… Il Fool incarna dunque la parte non adattata e ridicola della personalità. Ma è proprio quella parte disprezzata, quella funzione inferiore a fare da ponte con l’inconscio e a consentire di continuare il cammino verso la completezza… (il) Fool… pur essendo il più delle volte un’accozzaglia di elementi caotici e sproporzionati, riesce, talvolta, a comporre questi stessi elementi in un disegno equilibrato e armonico”(6).

Dunque il clown può esprimere i paradossi dell’esistenza, quel doversi adattare ad una realtà che si sente estranea, oppure al sentirsi come stranieri nel proprio paese. Egli può risultare un sovversivo, poiché modifica le prospettive comuni, inventa un suo linguaggio e mostra difetti che molti nascondono.
Secondo Papini il clown è una “figurazione di pulsioni filosofiche ed anarchiche allo stato puro”(7) .
Fra il Settecento e l’Ottocento si diffuse la comicità dei clown. La parola inglese “clown” deriva da “clod”, che deriva dalla parola latina “colonus” (contadino) e significa “stupido”.
Il personaggio ridicolo di solito vestiva i panni della persona povera (contadino), che per associazione veniva intesa da tutti anche come persona sciocca o non molto intelligente. Anche in tempi recenti la persona ridicola è quella appartenente alle classi popolari, anche se non è più il contadino. Ad esempio, il personaggio del ragionier Fantozzi è, nell’era del lavoro d’ufficio, un umile impiegato con una situazione economica assai modesta. Ad oggi non c’è l’idea che un personaggio della classe ricca possa essere ridicolo, ad esempio, che un grande imprenditore o un banchiere possano rappresentare personaggi comici. C’è l’idea che chi è ricco deve per forza essere così intelligente e brillante da non poter essere mai messo in ridicolo. Chi è inteso come “vincente” sembra non dover esprimere alcuna ironia in quanto si presume che egli non abbia alcun difetto, e dunque nessun contenuto risibile. I “vincitori”, al contrario dei “perdenti”, sembrano al di sopra di ogni debolezza, come se le loro certezze impedissero di guardare a se stessi come ad esseri umani. Ma proprio in questa raffigurazione del potente, c’è la disumanizzazione che lo porterà a credersi quasi divino. Nel perdere la propria imperfezione umana egli perderà anche le possibilità di grandezza. Infatti, proprio lo scoprire il piccolo Io vulnerabile, di cui si può sorridere, può rappresentare la chiave per poterlo illuminare con la più vasta anima.
Certamente l’essere umano non è soltanto i suoi aspetti imperfetti, egli, a seconda delle sue scelte, può anche abbracciare nobili caratteristiche, come l’altruismo e la solidarietà. Tuttavia, non lo può fare senza prima attraversare le sue imperfezioni, dato che soltanto quando accetterà i suoi difetti e limiti sarà in grado di accettare i limiti e i difetti altrui, imparando ad amare.
Il clown racconta storie di incertezze, di errori e debolezze: storie “umane”che rendono umani, e dunque imperfetti, fragili, ma empatici. Invece, chi si erge al di sopra dell’umano, rifiutandosi di ammettere incertezze e debolezze, rischia di non poter sorridere di sé e dunque di non potersi appropriare di tutto ciò che è profondamente e splendidamente umano. Paradossalmente, il clown, assumendo un ruolo e una maschera, rivela ciò che gli umani, apparentemente privi di maschera, nascondono o negano.

I primi clown erano acrobati, e nel tempo diventarono personaggi imbranati vestiti in modo ridicolo. Fra il Settecento e l’Ottocento, alcuni clown usavano vestire da contadini e stare nel pubblico, fingendosi spettatori. Ad un certo punto essi urlavano di essere capaci di fare ciò che avevano visto fare all’acrobata, e dunque venivano invitati sul palco a dare prova di ciò che dicevano. Ovviamente, si sarebbero avute scene comiche per far ridere il pubblico. Il clown di solito parlava poco o era muto, e poteva anche comportarsi in modo bizzarro (veste abiti troppo grandi o piccoli, ha il naso rosso, si pesta il dito, inciampa, cade, viene picchiato, ecc.), oppure fingersi matto. Si rideva evadendo da un assetto “normale” ritenuto vero per tutti. Come scrive Remy: "La pista (del circo) è lo spettacolo deformante di una verità che è tale in ogni istante”(8).

Chi ride di solito non si sente oggetto della parodia e non è emotivamente coinvolto. Come spiegò il celebre filosofo Henry Bergson, l’emozione impedisce la risata. Infatti, nessuno ride in una situazione che lo coinvolge emotivamente: “Anime invariabilmente sensibili, accordate all’unisono con la vita, in cui ogni avvenimento si prolungasse in risonanza sentimentale non conoscerebbero né comprenderebbero il riso”(9) .
Questo accade perché di solito non vogliamo ridere di noi stessi e nemmeno delle persone a noi vicine, vogliamo ridere dei nostri nemici o di coloro che non ci stanno a cuore. In altre parole, desideriamo credere che non si possa ridere di noi ma soltanto di quelli che non ci sono simpatici. Ma in realtà si può ridere di tutti, e il saper ridere di se stessi svela una grande anima. L’anima di chi sa che tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore, e che non esiste colui che è tanto perfetto da non poter essere deriso, né colui che è tanto imperfetto da dover essere deriso per forza.
Sembrerebbe che la comicità possa svelare gli aspetti umani più veri, sancendo una possibilità di verità di se stessi non concessa se non al di fuori del “normale”.
Spiega lo scrittore Francois Billetdoux: “il clown deve conservare tutto il suo mistero… asessuato, senza età al di là del tempo e delle mode... Come un angelo, insomma, caduto sulla terra in stato di ebrezza? Trascinato nella parata per quale parodia? E di quale villaggio sarebbe l’“idiota”? Forse il clown è l’avvenire dell’uomo. Chissà se ci arriveremo.(10)”

Il clown è oltremodo “deviante”, è spontaneo e allegro come può esserlo un bimbo, e ciò è permesso soltanto a chi non è adulto o a chi interpreta un “ruolo” e il cui comportamento rimane relegato all’interno di quel ruolo. Egli diverte perché fa “cose proibite” o rappresenta colui che diverge da tutti gli altri, e può farlo finché è clown.
Per alcuni studiosi il clown (o il comico in generale), può consentire una catarsi, scaricando attraverso una risata la tensione, e permettendo di vedere in modo diverso un evento o una situazione. Al comico si permette di capovolgere la realtà, di ironizzare su personaggi o situazioni così come la persona comune non può fare. Il comico può provocare, tanto la sua provocazione si intende come estranea alla realtà, in quanto appartenente all’ambito dell’irrealtà clownesca.
Provocando, il comico contribuisce ad alleggerire la tensione, senza però permettere di modificare in alcun modo la realtà che l’ha provocata. Il riso è un sollievo momentaneo, certamente assai salutare, ma non può sostituirsi all’azione eversiva delle persone che non vestono i panni del comico.

Secondo diversi autori il comico può assumere compiti di tipo “politico” nel produrre catarsi e nel sostenere le logiche del potere. Secondo gli scrittori Concetta D’Angeli e Guido Padano, il comico serve a “Denunciare vizi, comportamenti riprovevoli, devianze dall’ordine che il sistema sociale stabilisce, e in tal modo avviare, esplicitamente o implicitamente, la loro repressione o correzione, appare essere la via per giustificare un ruolo a sua volta istituzionale, ma tale divenuto cristallizzando posizioni alternative, trasgressive o comunque sospette”(11).

Alcuni autori hanno messo in evidenza una presunta funzione repressiva esercitata dal comico: egli, nel rappresentarlo in modo irriverente, stigmatizza il diverso. Mostra colui che non si conforma come fosse uno sciocco insensato che proprio perché non abbastanza intelligente è incapace di condividere i significati accettati da tutti. Secondo D’Angeli e Paduano, bollando per stupidità il voler esprimere liberamente se stessi fuori dalla massa, si ottiene un compromesso nel giudizio sociale, che permette di prevenire o sostituire il giudizio manicomiale. Osservano: “Pur restando devianza dalla norma, esso si fa norma a sua volta, e sostanzia di sé il comportamento sociale, diventando di fatto la morale dominante. In questo caso l’aggressione comica equivale a una battaglia politica, e infatti si propone di contribuire a un fine propriamente politico, il sovvertimento della società corrotta. L’indignazione che condanna l’immoralità di una società che detta le leggi e insieme si arroga il diritto di infrangerle, interpreta al livello più alto la coscienza adulta, la stessa che nutre le lotte politiche, i sermoni edificanti, le campagne di moralizzazione… non sempre dobbiamo cercare nel riso immorale l’emergenza massima della sovversione; sempre e comunque dovremo invece cercarvi qualcosa che renda accettabile la rivolta antisociale in un contesto sociale”(12).

Altri autori hanno messo in evidenza che il clown esiste in quanto c’è bisogno di mostrare un modo grottesco di comportarsi, e di determinare la catarsi implicita nel deridere le strutture e i significati del potere. Nel far ciò, il “buffone” di corte aiutava il re a mantenere e rafforzare il suo potere. Spiega Willeford:
“Il ruolo del buffone assolve così ad alcune delle medesime funzioni cui assolve la ribellione ritualizzata che permette, a quanti in un determinato sistema politico occupano una posizione subalterna, di esprimere i loro risentimenti, effettivi ed eventuali, nei confronti dell’autorità. Il fatto che la ribellione sia permessa, se non addirittura incoraggiata, significa che le istituzioni sociali e coloro che detengono il potere sono forti abbastanza da poterla tollerare, perciò va a tutto vantaggio dell’autorità e della coesione sociale… Il buffone da un lato con la sua allegria alleggerisce il peso della minaccia, spostando nell’immaginario l’eventualità di un suo ripresentarsi; dall’altro agisce contro di essa incarnando un principio di totalità; nella fattispecie ripristina in una nuova forma di equilibrio, quella originaria condizione di unità prima che il regno venisse separato da quanto in esso non poteva essere contenuto”(13).

Non sempre il clown (o il comico) spalleggia il potere, egli può liberarsi dal fascino del potere e agire in libertà. Spiega Dario Fo: “I clown, come i giullari e i ‘comici’, trattano sempre dello stesso problema, della fame: fame di cibo, fame di sesso, ma anche fame di dignità, di identità, fame di potere. Infatti il problema che pongono costantemente è di sapere chi comanda, chi grida. Nel mondo clownesco due sono le alternative: essere dominanti oppure dominare… Ai nostri giorni, il clown è diventato un personaggio destinato a divertire i bambini: è sinonimo di puerilità sempliciotta, di candore da cartolina d’auguri, di sentimentalismo. Il clown ha perso la sua antica capacità di provocazione, il suo impegno morale e politico. In altri tempi il clown aveva saputo esprimere la satira alla violenza, alla crudeltà, la condanna dell’ipocrisia e dell’ingiustizia… L’osceno è sempre stato l’arma più efficace per abbattere il ricatto che il potere ha piazzato nel cranio della gente, inculcandole il senso di colpa, la vergogna e l’angoscia del peccato. Che grande trovata quella di farci nascere già colpevoli, con una colpa (quella originaria) da scontare o lavare! Machiavelli consigliava al Principe: “Date a un popolo la convinzione d’essere colpevole, non importa di che, e vi sarà più facile governarlo”. Distruggere, col far ridere, questa angoscia, è sempre stato l’impegno principale dei comici, specialmente di sesso femminile”(14).

Soltanto a carnevale si concede a tutti la possibilità di esprimere un comportamento non conforme e di vestire come si vuole. Ma in tal caso, essere liberi equivale a diventare ridicoli, grotteschi, e dunque ad assumere un comportamento che non può divenire la norma. Come scriveva il filosofo Markus Ophälders l’ironia del comico “conserva… i significati più profondi e remoti… i significati connessi all’oggetto di questa contemplazione: alla vita come festa”(15).

Il travestimento viene ad essere una maschera burlesca, gioiosa, un modo per uscire dal contesto quotidiano e sfogare le tensioni. Nel clima festoso cessa l’ansia, vengono attutite momentaneamente le paure e si riceve una temporanea consolazione.
C’è l’idea che si possa uscire dagli schemi soltanto in determinati ruoli o in determinati tempi e modi. Associare l’essere “diversi” alla comicità o alla circostanza festosa, equivale a dimenticare che molti aspetti del concetto di “realtà” sono arbitrari, ma vengono imposti come assoluti, impedendo una libera scelta individuale. Si dà una informale licenza di ridicolizzare tutto ciò che non rientra nei criteri della “gabbia di massa”.
In altre parole, si può uscire dagli “schemi”, ma, paradossalmente, a patto di rimanere negli schemi del comico o dei festeggiamenti carnevaleschi, altrimenti si corre il rischio di finire alla gogna mediatica o imbottiti di psicofarmaci.

Imparare ad agire come ci si sente veramente, senza timore di far emergere gli aspetti non allineati con ciò che gli altri si aspettano da noi è molto difficile. Più facile è far sentire a noi stessi e agli altri il peso del conformismo.
Siamo indotti a focalizzarci soltanto sugli aspetti esteriori e superficiali di noi stessi e degli altri, per non scoprire che ognuno è un universo pregno di creatività, che si cerca di tenere bloccata a costo di produrre nevrosi.
Nell’aborrire il clown che c’è dentro di noi, e nel temere di esprimere qualcosa che non rientra nei canoni della “realtà”, si rischia di perdere la parte più vera di se stessi, e tutto ciò che potrebbe essere espresso soltanto attraverso una sincera risata.



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NOTE

1) Lecoq Jacques, “Le corps poétique” (“Il corpo poetico”), Paris, Actes Sud, 1997, trad. it. di R. Mangano, Ubulibri, Milano 2000, p 167.
2) Ivi, p. 168.
3) Lecoq Jacques, op. cit., p. 172
4) Fellini Federico, “I clown”, Cappelli, Bologna 1988, p. 36.
5) Jung Carl Gustav, “Gli archetipi e l’inconscio collettivo”, Bollati Boringhieri,
Torino, 1980, pp. 254-255.
6) Willeford, William, “Il Fool e il suo scettro”, Moretti-Vitali, Bergamo, 1998, pp. 20-64.
7) Vittori Maria Vittoria, “Il clown futurista, Storie di Circo, Avanguardia e Café-chantant”, Bulzoni, Roma 1990, p. 42
8) Remy Tristan, “Arrivano i Clown”, Il Formichiere, Milano 1962. p. 25.
9) Bergson Henry, « Il riso, saggio sul significato del comico”, Rizzoli, Milano 1991, p. 39.
10)Sallè, H. , “L’arte del Clown”, Gremese, Roma 1994, p. 171.
11) D’Angeli Concetta, Paduano Guido, “Il comico”, Editore Il Mulino, Bologna 1999, p. 7.
12) D’Angeli Concetta, Paduano Guido, op. cit., p. 13.
13) Willeford, William, op. cit., pp. 229-235
14) Fo Dario, “Manuale minimo dell’attore”, Einaudi, Torino, 1997, pp. 267-300.
15) Markus Ophälders, “Sopravvivere alla cultura”, in Aa. Vv. “Filosofia dell’arte”, n. 2, 2002.

mercoledì

GLI ERETICI

Di Antonella Randazzo


Dai tempi della Santa Inquisizione sembra che di strada se ne sia fatta. Personaggi eminenti come John Locke, David Hume e Voltaire hanno parlato di libertà, di rispetto per tutti gli esseri umani e di tolleranza. Ma la lezione è stata davvero messa in pratica?
Da quello che accade sembrerebbe di no: anche ai nostri giorni esistono persone screditate o ingiustamente criminalizzate senza nemmeno leggere o ascoltare quello che hanno da dire. Soltanto perché magari non hanno accettato la versione ufficiale su alcuni fatti storici, oppure semplicemente perché esprimono punti di vista nuovi sulla politica o sul sistema in generale.
Dire cose nuove, siano esse vere o soltanto opinioni, risultava pericoloso in passato e lo è anche oggi. Galileo, a soli 25 anni già professore di Matematica a Pisa, sembra fosse malvisto da molti suoi colleghi, che non gli perdonavano di accettare teorie diverse da quelle aristoteliche, che avevano dominato per 2000 anni e ancora nessuno aveva il coraggio di mettere in discussione. Quando Galileo scoprì le macchie solari, il suo superiore si affrettò a redarguirlo con le parole: “Ho letto tutte le opere di Aristotele dall’inizio alla fine e non vi ho trovato nulla di quanto tu affermi. Tranquillizzati, figlio mio. Le tue macchie solari non sono altro che difetti delle tue lenti e dei tuoi occhi ”. Tutto quello che non apparteneva alla tradizione aristotelica risultava frutto di fantasia o dell’incapacità di vedere bene le cose. Durante il processo a Galileo fu data parola ad un personaggio che veniva considerato un importante professore di filosofia e matematica all’Università di Pisa, un tal Scipio Chiaramonti, che sosteneva con convinzione che: «Gli animali si muovono perché sono dotati di arti e di muscoli; pertanto la Terra, che non possiede né arti né muscoli, non può muoversi»

Tutti oggi sono in grado di capire gli errori commessi dalle autorità del passato, ma pochi si accorgono che anche ai nostri giorni esistono gravi restrizioni alla libertà.
Oggi l’Inquisizione non ha tribunali veri e propri, ma si vale di mezzi moderni e tecnologici per privare gli individui della loro libertà di pensiero e per ridicolizzare chi osa uscire dal gregge. Ad esempio, vengono allestiti siti, o preparati ad oc articoli giornalistici o programmi televisivi. Talvolta programmi come “Matrix” o “Porta a Porta” fanno “processi” mascherati da “informazione” a chi interpreta diversamente alcuni fatti, oppure esprime nuovi punti di vista.
Ad esempio, negli anni Ottanta, contro Nando Dalla Chiesa, che fondò una rivista allo scopo di alimentare la cultura antimafia, si scatenò un piano per screditarlo, deriderlo e addirittura trascinarlo in Tribunale. Egli fu dapprima invitato ad una trasmissione televisiva (“Il Testimone”, Rai2), che si svolse il 12 maggio del 1988. La trasmissione era stata architettata in modo tale che egli fosse messo in cattiva luce, e apparisse come un personaggio poco affidabile e incline a diffamare giornalisti. In realtà egli, nella sua rivista, aveva semplicemente denunciato la condizione non libera delle maggiori testate nazionali, provando come esse non dicessero la verità, oppure cercassero di mistificarla. Il messaggio che fu fatto passare durante la trasmissione televisiva, tramite il conduttore Giuliano Ferrara, fu che la mafia era invincibile e che l'antimafia era divisa, cosicché, per contrastare la mafia, l'unico modo sarebbe stato quello di legalizzare la droga. Si trattava di un artificio retorico e demagogico per nascondere che l'organizzazione mafiosa non è soltanto traffico di droga, e che intenderla come invincibile equivale a rafforzarla.
Nando Dalla Chiesa fu messo nelle condizioni di essere accusato ingiustamente, e di non poter adeguatamente rispondere alle accuse, affinché gli spettatori potessero vederlo negativamente e non prendere sul serio le importanti iniziative culturali e sociali che egli stava portando avanti.
Alcuni mesi dopo la trasmissione televisiva, Dalla Chiesa fu querelato dal giornalista Alfio Caruso, che lo accusava di diffamazione. In realtà si trattava di indebolire le lotte antimafia e di riportare tutto com'era prima, quando nessuno osava criticare i canali mediatici ufficiali. L'oligarchia dominante preferisce bloccare o impedire la possibilità di sollevare critiche contro gli organi di stampa ufficiali, anziché attaccare la mafia. Una vicenda analoga accadrà anche a Carmine Mancuso (1) , figlio dell'ispettore di polizia Lenin Mancuso, ucciso dalla mafia. Scriverà Dalla Chiesa: "I nostri padri uccisi dalla mafia, noi uniti da quei due attimi sparsi nel tempo, a chiedere giustizia con uguale impegno civile e portati in tribunale non dal destino ma dagli uomini. Non giudico nessuno, non accomuno nessuno. Ma una cosa mi brucia, mi brucia davvero: un sistema ha processato i nostri padri: un altro sistema ha processato noi".(2)

Si punta a far sentire la persona che in qualche modo si oppone al sistema come fosse “eretica”, diversa dagli altri, peggiore degli altri. Si tende ad isolarla o ad additarla come singolare, che deve suscitare perplessità. Si punta a suscitare paura della disapprovazione o del ridicolo. Viene stimolata una risposta di vergogna, che si può manifestare come un senso di imbarazzo che fa sentire troppo vulnerabili, esposti al pubblico ludibrio. Da ciò deriva il conformismo, fenomeno assai diffuso nella nostra cultura comune.
Oggi sono stati fatti notevoli progressi tecnologici e delle scienze sociologiche, a tal punto che i metodi di controllo del pensiero si sono fatti assai più sofisticati che in passato.
Di fatto nel mondo attuale vengono applicati metodi efficaci per far sentire la gente libera anche se non lo è, e c’è tutta una letteratura che spiega questi meccanismi (Orwell insegna), ma dato che non è possibile sempre soggiogare tutti, quelli che fuoriescono dal controllo vengono temuti come la peste. Per questo motivo, se queste persone iniziano ad essere conosciute da un pubblico più vasto, vengono attivati una serie di meccanismi volti a screditarle e ad isolarle.
Anziché valutare i contenuti espressi, viene volutamente spostata l’attenzione sul personale, al fine di cercare un qualche difetto che possa denigrarle a tal punto da indurre le persone a non considerare i contenuti da loro espressi.

Le autorità contemporanee sono dotate della loro “inquisizione” anche in ambito legale, anche se essa non è più “santa” e non è più intesa come tale.
In tempi molto recenti diversi editori e storici sono stati perseguitati per le loro opinioni.
Esistono leggi che limitano la libertà di opinione e di pensiero almeno in quattordici paesi europei: Francia, Italia, Germania, Olanda, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Romania, Austria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Lituania.
Per approvare queste leggi è stata presa a pretesto la necessità di "contrastare l’istigazione a crimini contro l’umanità, manifestazioni di discriminazione razziale, etnica, nazionale, religiosa o fondata su orientamento sessuale o identità di genere". (3) L'argomento "razzismo e discriminazioni" viene utilizzato al fine di far apparire che le autorità occidentali hanno a cuore i diritti umani. Ma ciò appare del tutto falso, anche se si considera soltanto la criminale discriminazione legale fra "cittadini" e "immigrati clandestini". Infatti, a questi ultimi non viene di fatto riconosciuto alcun diritto. Allora, per capire le motivazioni che hanno spinto le autorità europee a voler tenere sotto controllo la ricerca storica, anche imponendo sanzioni penali, occorre fare riferimento al sistema attuale creato dai vincitori dell'ultima guerra. Tale sistema è stato giustificato per anni attraverso lo spauracchio dei "feroci nazisti", facendo intendere che grazie alla sconfitta dei tedeschi era stata possibile la "libertà". Ma si trattava soltanto di una propaganda supportata dalla grave mistificazione di fatti storici, che proprio negli ultimi decenni si sta sgretolando grazie all'opera indipendente di numerosi storici. Per questo motivo, le autorità europee e statunitensi temono di vedere portati alla luce i loro crimini passati e attuali, e che i popoli non possano più vederli come "democratici" e "liberatori di popoli", essendo nei veri fatti storici tutto il contrario. Ciò spiega i tentativi di intimorire gli storici indipendenti, potendoli perseguitare legalmente e mediaticamente, distruggendo la loro credibilità e il loro prestigio.
In Francia, nel 1990, è stata approvata la legge 90-615 detta Fabius-Gayssot, che combatte "il delitto di revisionismo", a cui è subentrata nel 2003 la legge Lellouche, che pretende di affrontare la "provocazione alla discriminazione".
Purtroppo, queste leggi sortirono gli effetti sperati, e come rivelò “Le Monde”, gli storici francesi iniziarono a temere di essere trascinati in tribunale, e terrorizzati iniziarono a limitare gli articoli sui giornali.
Ma se questi storici dicessero davvero cose assurde e false, che bisogno ci sarebbe di imporre per legge una determinata versione storica? Occorrono i tribunali per imporre un fatto storico? O piuttosto accade ciò perché la versione ufficiale potrebbe essere confutata in modo efficace e veritiero? E poi, perché associare "negazione dell'Olocausto" con "incitamento all'odio razziale", dato che gli storici detti "revisionisti" non incitano affatto all'odio razziale? Come mai gli storici "tradizionalisti" non sono in grado di affrontare un dibattito in sede adeguata e hanno bisogno dei tribunali? Se si ha necessità di imporre per legge un presunto fatto storico significa che non vi sono prove inoppugnabili a suo sostegno. E poi, se gli intenti sono quelli professati (ossia di impedire altri genocidi) perché sanzionare soltanto chi nega l'Olocausto ebraico e non anche chi nega lo sterminio dei nativi americani o degli armeni? I genocidi non dovrebbero essere tutti altrettanto gravi?
E' come se la verità storica dovesse diventare un dogma, imposto per legge, come fosse un fatto di autorità e non di ricerca e cultura. Con queste leggi si svilisce l'intera cultura e crolla l'ultima illusione che in Europa ci potesse essere davvero la fantomatica "democrazia".
E' evidente che gli scopi principali di queste leggi sono:
1 - Spaventare chi vuole fare ricerca storica indipendente;
2 - far capire una volta per tutte che è il sistema a decidere ciò che è vero e ciò che è falso;
3 - additare gli storici indipendenti come criminali, in modo tale che nessuno voglia seguire il loro esempio o prenderli sul serio;
4 - far intendere la cultura come un settore su cui le autorità possono imporre dogmi o schemi prefissati rigidi.

Alcuni storici francesi hanno reagito a tutto questo firmando un manifesto dal titolo “Liberté pour l'histoire!”, in cui chiedono l'abrogazione delle leggi che restringono la libertà di opinione.
La caratteristica comune delle “inquisizioni” è che la persona è condannata sin dall’inizio: non contano le prove che mostra a sostegno di ciò che dice, e nemmeno il fatto che essa non sta danneggiando nessuno né sta commettendo alcun reato, se non d’opinione.
Il fatto che oggi non vi siano più roghi non deve trarre in inganno: la vita di una persona può essere distrutta in vari modi, facendogli perdere il lavoro, mettendola alla gogna perpetua, oppure perseguitandola. Le persecuzioni possono acquisire molte forme come l’essere etichettato, l’essere additato come “mostro”, subire continue insinuazioni e calunnie, ecc.
Se tutti accettassero la libertà di tutti, non ci sarebbe alcun motivo di etichettare chi diverge dagli altri o di screditare qualcuno con calunnie, ecc.

Avere l’impeto a denigrare qualcuno senza motivo è di per sé sintomo di un qualche scompenso.
Gli esseri umani non sono creature omologabili, in essi c’è l’intelligenza, la creatività, la bontà, ma certamente ci può essere anche la stupidità o la banalità. La libertà è libertà di essere stupidi, intelligenti, bizzarri, banali, e tutto quello che si decide di essere.

Il punto è che esistono anche oggi alcune scelte ritenute “normali” e altre ritenute da rigettare o da criminalizzare anche quando non danneggiano nessuno.
Persino le conoscenze date dalla Fisica Quantistica sono derise in certi ambienti, poiché potrebbero accrescere il potenziale umano di libertà, e dunque essere “pericolose”.
I sistemi di natura imperialistica non hanno mai permesso agli individui di sentirsi capaci di autodeterminarsi o di alzare la loro autostima a tal punto da considerarsi artefici della loro realtà. Al contrario, hanno elaborato fior di dottrine religiose, filosofiche e politiche per controllare le menti e restringere la libertà di pensiero.
Millenni di controllo religioso o ideologico hanno fatto in modo che i popoli diventassero greggi docili e obbedienti, disposti a protestare sporadicamente quando il potere toccava l’acme, per poi ritornare all’ovile quando il lupo ringhiava.

Sono anche il silenzio o l’ostracismo verso coloro che vengono trattati da eretici a far diventare i migliori servitori di regime. Molti si uniscono superficialmente al coro dei detrattori, magari senza aver mai letto una riga o sentito una parola di ciò che la vittima ha da dire. Si “getta al rogo” chi è criminalizzato dal regime, rafforzando un sistema fondato sul controllo delle menti e dei comportamenti.
Chi non è più abituato a ragionare con la sua testa o a ritenere di poter vivere secondo i propri personali principi e idee, diventa spesso ipocrita, e acerrimo nemico di chi, invece, pensa con la sua testa nonostante i rischi.

Il nostro mondo è fatto di differenze, di varietà e di scelte diverse, che il sistema attuale ci rimanda come divisioni, contrasti e beghe. Ma la diversità non per forza deve essere oggetto di contrasti o divisioni. Il rispetto e la tolleranza vera potrebbero permetterci di vivere in un mondo pacifico, sereno e in cui c’è posto per ogni scelta libera. C’è vero progresso civile soltanto in assenza di “inquisizioni”, siano esse mediatiche o giuridiche.
Ricordiamo ciò che scrisse il Grande Inquisitore nell’opera di Dostoevskij: "abbiamo cura anche dei deboli. Essi sono peccaminosi e ribelli ma alla fine anche loro diverranno obbedienti. Si stupiranno di noi e ci considereranno degli dei, poiché siamo pronti a sopportare la libertà che loro hanno trovato così spaventosa e a governarli, tanto orribile sembrerà loro l'essere liberi. Ma diremo loro che noi siamo i Tuoi servi e li governeremo in Tuo nome".




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“Diritto alla verità e diritto all’errore”
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NOTE

1) Carmine Mancuso è stato fra i fondatori, insieme a Leoluca Orlando e Nando Dalla Chiesa, nel 1991, del partito antimafia "La Rete".
2) Dalla Chiesa Nando, Delitto imperfetto, Mondadori, Milano 1984, p. 224.
3) www.governo.it/Governo/ ConsiglioMinistri/testo_int.asp?d=30589 - 18k -