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GLI ZOO UMANI - Quando gli europei pagavano per vedere i non europei in gabbia

Di Antonella Randazzo




Il primo contatto degli europei con persone appartenenti ad altre culture fu improntato alla superiorità ontologica sostenuta dalle teorie "scientifiche" dell'epoca. Era opportuno che nel periodo coloniale gli europei percepissero i non europei come sub-umani, da osservare a distanza di sicurezza.
Gli scienziati europei avevano assunto verso gli altri gruppi etnici, in particolare quelli africani, l'atteggiamento di chi vuol trovare l'elemento strano o diversità biologiche tali da indurre a relegarli all'interno di una categoria assai lontana dalla "razza" bianca e, se possibile, anche dalla stessa umanità, intesa come protagonista della Storia e della civiltà.

Già alla fine del Settecento si diffuse la falsa notizia dell'esistenza di gruppi africani dotati di un organismo strano, che li rendeva diversi e non assimilabili agli altri gruppi umani. Si trattava del caso degli Ottentotti, considerati la razza più vicina alle scimmie. La donna Ottentotta fu considerata anatomicamente anomala perché dotata di una massa adiposa che dava alle natiche una forma eccessiva; inoltre si pensava che avesse le labbra dei genitali più sviluppate. Gli scienziati credettero addirittura di aver trovato una razza estranea allo stesso genere umano, e studiarono gli Ottentotti per suffragare le loro tante ipotesi razzistiche e discriminatorie. I particolari anatomici della donna Ottentotta furono direttamente collegati alla sessualità, che nel suo caso fu considerata, com'era negli stereotipi della donna africana, viscerale e indomita. L'Ottentotto divenne nell'immaginario europeo il selvaggio allo stato puro, assai vicino alla brutalità dell'animale.
Per tutto il Settecento e fino ai primi decenni dell'Ottocento, gli Ottentotti suscitarono un'attenzione morbosa da parte degli scienziati, ma anche da parte della gente comune. Ad esempio, Sarah Baartmann, soprannominata la "venere Ottentotta", dalla Colonia del Capo fu portata a Londra ed esibita al pubblico dietro pagamento. Morirà nel 1815 e sarà messa sotto formaldeide per essere ancora esibita fino al 1982.



Gli scienziati dell'epoca vedevano nelle cosiddette "anomalie delle razze inferiori", una prova che i "selvaggi" non potessero essere assimilabili ai bianchi. Erano convinti che l'Antropologia e l'Etnologia avessero un ruolo fondamentale nel fissare in maniera precisa e chiara la gerarchia fra le razze.
I parametri europei, applicati come assoluti, permettevano di valutare e di provare in maniera inappellabile che il non europeo, in particolare il nero africano, era brutale come un animale, e possedeva istinti avidi e incontrollati che lo portavano a vivere una sessualità bestiale e promiscua. L'africano veniva visto anche come antropofago, in linea con l'immaginario europeo, che vedeva il selvaggio come colui che infrange tutti i tabù della civiltà.
L'osservazione era il criterio di studio divenuto prevalente a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento, quando si affermarono le teorie positivistiche e darwiniane. L'imperativo dello studioso era di osservare per esperire direttamente l'oggetto di studio e catalogarlo nelle sue caratteristiche empiricamente inconfutabili. L'osservazione fu intesa come un approccio privilegiato che tutti gli europei, non soltanto gli studiosi, potevano sperimentare attraverso l'istituzione di veri e propri zoo umani (1).

Gli zoo umani nacquero in Germania intorno al 1874, ad opera di Karl Hagenbeck, un mercante di animali selvatici che scoprì l'affare lucroso di esporre come animali anche gli umani appartenenti alle razze più lontane da quella europea.
Il primo contatto con il nero africano avvenne quindi dietro le sbarre di una gabbia, a significare la natura più animale che umana dei soggetti che si offrivano all'osservazione. Il fenomeno dello zoo umano si diffuse ben presto in molte città europee, comprese Londra, Berlino e Milano. L'inferiorità e la natura non pienamente umana del nero erano ormai un assioma, grazie anche alle teorie scientifiche più importanti dell'epoca. Il darwinismo sociale o antropologico aveva determinato una rigida gerarchia delle società e delle razze. Spencer, uno dei più importanti darwinisti inglesi, applicò il concetto di evoluzione alla realtà sociale dell'uomo facendo derivare categorie precise di evoluzione del comportamento umano all'interno del suo proprio gruppo sociale. La società fu intesa da Spencer come un unico organismo compatto, che si evolveva anche attraverso lo scontro con altri organismi sociali; nello scontro vinceva sempre il più forte, che era da ritenere come il più evoluto. I perdenti, ossia le razze inferiori, erano da considerarsi tali in quanto dotate di un corredo biologico limitato, dovuto anche a scarse condizioni ambientali. Da questi presupposti nacque la “psicologia del primitivo”, dominata da elementi irrazionali (magia, stregoneria, spiritismo) e da capacità cognitive poco articolate, incapaci a produrre idee astratte. All'interno di questa visione, la "razza evoluta", cioè l'europeo, doveva necessariamente prevalere in quanto ciò veniva a coincidere con il progresso delle culture che sottometteva. A tutto questo va aggiunta l'importanza che il darwinismo dava all'ereditarietà dei caratteri all'interno di un gruppo, e la necessità di studiare la realtà umana attraverso elementi esterni come la forma, la misura e il peso.

Oggi non c'è memoria del primo approccio osservativo che abbiamo avuto con i neri, eppure fino agli anni '30 dello scorso secolo sono esistiti gli zoo umani, che mostravano anche interi gruppi sociali africani e asiatici. Per l'europeo era accettabile e legittimo quel rapporto di estrema distanza ontologica. Il nero africano veniva considerato alla stessa stregua di un selvaggio, e poteva essere percepito come un mostro quando nello “spettacolo” veniva descritto come cannibale o come avente forze fisiche abnormi.

Lo straniero appariva totalmente “altro”, e acquisiva tutte quelle caratteristiche considerate completamente estranee alla civiltà: egli era primitivo e come tale dotato di caratteristiche mostruose, nel corpo, nella sessualità e nel comportamento. Vederlo dentro una gabbia rafforzava l'idea di animalità e di inconciliabilità con il contesto civile degli europei.
Dalla metà dell'Ottocento fino agli anni '30 del Novecento, gli zoo umani si diffusero in tutta Europa, venendo a costituire una sorta di rappresentazione del razzismo propagandato dalle teorie scientifiche dell'epoca.

La logica insita negli zoo umani era la medesima dello spettacolo che mostrava l'insolito: il nano, la donna barbuta o il gigante. Agli zoo umani però si aggiungevano le caratteristiche dello spettacolo di bestie selvatiche, e i soggetti umani venivano mostrati chiusi nelle gabbie o nei recinti per dare l'impressione che si avesse a che fare con animali pericolosi e non con esseri umani strani o deformati. Tale distanza ontologica era la prova più lampante della funzione razzistica degli zoo umani. Essi, infatti, dovevano mettere in scena vere e proprie rappresentazioni dell'inferiorità di alcune razze rispetto a quella europea. L'impressione che si doveva avere alla vista dei soggetti africani era che essi fossero più vicini agli animali che agli esseri umani, e questa impressione si induceva non soltanto dalle caratteristiche somatiche o dalla seminudità dei soggetti mostrati ma, soprattutto, dal fatto che venivano presentati come portatori di comportamenti animaleschi: alcuni come antropofagi, altri come avidi di sesso e altri ancora come dotati di aggressività o forza selvaggia. Si trattava di messe in scena, in quanto gli stessi soggetti talvolta erano pagati per recitare la loro parte, ma il pubblico non lo sapeva.
Lo sguardo popolare coglieva in maniera immediata un rapporto di netta superiorità fra la sua razza e quella dell'uomo nella gabbia e, quindi, gli spettatori non si rammaricavano che l'altro fosse rinchiuso o legato. La percezione dell'altro coincideva con i fatti stessi: “se sta in gabbia deve essere certamente un selvaggio”, e si ecludeva la possibilità che le cose potessero essere diverse.

Gli zoo umani di solito erano organizzati da compagnie itineranti, che giravano per le grandi città come Amburgo, Anversa, Barcellona, Londra, Berlino o Milano. Si trattò di spettacoli di massa. A Glasgow, nel 1888, i visitatori furono 5,7 milioni, mentre a Parigi, nell'Esposizione Universale del 1889, sarebbero accorse oltre 30 milioni di persone.
Nel 1877 Geoffroy de Saint-Hilaire, direttore del Giardino zoologico di Parigi, decise di mettere dentro una gabbia nubiani ed esquimesi, ottenendo un successo di pubblico assolutamente al di sopra delle previsioni. I parigini si erano riversati in massa per vedere lo spettacolo e quell'anno circa un milione di persone visitarono il giardino pagando un biglietto.
Tra il 1877 e il 1912 si ebbero a Parigi altre iniziative del genere, ad esempio, nel Jardin zoologique d'acclimatation, furono presentate circa trenta "esposizioni etnologiche" che suscitarono un grande successo di pubblico. Successivamente fu ideato uno spettacolo con un vero e proprio "village nègre" con 400 comparse di colore come attrazione principale. Lo spettacolo fece il giro delle maggiori città europee riscuotendo un grande successo.
Gli spettacoli potenziarono l'incontro con l'altro come con un diverso che non essendo acculturato non poteva vantare l'appartenenza piena alla specie umana.
L'etnocentrismo europeo, portato all'estremo nel periodo coloniale, mostrava agli europei l'indigeno coloniale così come doveva essere percepito: dentro una gabbia, diverso e privo di caratteristiche veramente umane. In tal modo, giustificare ogni nefandezza del colonialismo sarebbe risultato più semplice. I neri venivano descritti come animaleschi, dagli istinti primordiali e voraci. Ma anche le altre “razze” non dovevano apparire propriamente umane, facendo intendere che la “civiltà” raggiunta dagli europei era unica, sovrana e impareggiabile. Si trattava anche di un modo per preludere alla “globalizzazione” della cultura, ovvero all’imposizione di un’unica cultura, quella occidentale, considerata talmente superiore da dover distruggere tutte le altre.

Gli zoo umani entusiasmavano anche le società di Antropologia, che studiarono da vicino gli indigeni degli zoo e ne certificavano l''autenticità'. Gli studiosi, dopo le loro misurazioni e osservazioni, pubblicavano articoli su importanti riviste di Etnografia e Antropologia.
Le teorizzazioni scientifiche del periodo si prodigavano a dimostrare l'esistenza di razze inferiori e di razze superiori, e a sostenere che le razze inferiori, a causa del loro stato selvaggio, dovessero essere dominate affinché non divenissero un pericolo per l'umanità intera.
Il razzismo popolare si diffondeva e si rafforzava con le argomentazioni “scientifiche”. In queste argomentazioni il nero veniva raccontato come appartenente alla razza posta sul gradino più basso della gerarchia mentre la razza bianca possedeva la superiorità assoluta in tutte le caratteristiche.
Per provare la fondatezza di queste teorizzazioni venivano utilizzati metodi come la craniometria (misurazione del cranio) e la frenologia . (2)

Gli zoo umani suffragavano la teoria della gerarchizzazione delle razze mostrando il nero, appartenente alla scala più bassa della gerarchia, come un soggetto con tare e costumi ancora disumani, troppo lontani dalla civiltà europea. Gli spettacoli degli zoo richiedevano anche una certa cura per i particolari: abbigliamento da selvaggio e lotte sanguinarie fasulle.
Dal 1890 fino alla Prima guerra mondiale l'attrattiva più acclamata era quella in cui il nero appariva particolarmente violento e selvaggio. Gli organizzatori degli spettacoli si prodigarono a dare agli indigeni l'apparenza di soggetti degradati, crudeli, assetati di sangue e molto distanti dalla civiltà europea. Dovevano apparire come razze inferiori ritardate rispetto all'europeo, non assimilabili alla civiltà europea se non attraverso la colonizzazione.
Il pubblico recepiva l'immagine del selvaggio abituato a vivere nello sporco e non si indignava affatto nel vederlo in gabbia, e nemmeno per le condizioni igieniche in cui era tenuto o per il modo in cui veniva trattato. Sono davvero rare le reazioni d'indignazione, e soltanto da parte di qualche giornalista o politico. Gli altri si adattavano bene alla situazione proposta, e alcuni ne prendevano parte lanciando cibo verso le gabbie oppure ridendo degli spettacoli, e persino quando un africano tremava per il freddo o soffriva per malattia.

Anche in Italia il fenomeno degli zoo umani ebbe notevole successo. La presenza di missionari e di esploratori italiani in Africa era significativa già a partire della metà dell'Ottocento. Gli stessi missionari cattolici si fecero promotori di iniziative propagandistiche per accrescere l'attenzione degli europei sull'Africa, portando in Italia gruppi di indigeni che mostrarono al pubblico in diverse occasioni, a sostegno delle importanti prospettive di evangelizzazione offerte dal continente africano. Ricordiamo, ad esempio, l'esposizione degli Assabesi a Torino nel 1884, di 60 Abissini a Palermo nel 1892, e di un gruppo di Sudanesi a Torino nel 1902.
Nel periodo fascista si alimentò ancora di più il gusto verso l'esotico come elemento curioso da osservare e da valutare dall'alto della “superiore cultura” occidentale. Numerose furono le Esposizioni nazionali di spettacoli 'etnici' con spettacolarizzazioni, su iniziativa del governo fascista, che intendeva celebrare la grandezza della conquista coloniale in Libia e poi in Etiopia.
Mussolini aveva promosso un filone 'scientifico' teso a divulgare idee e teorie razziste per affermare e salvaguardare la superiorità degli italiani sugli indigeni coloniali.
Scriveva Lidio Cipriani negli anni '30:

"Per quanto intelligenti più di ogni altro Africano a pelle nera, le possibilità psichiche della grande massa dei nostri sudditi dell'Africa non sono né saranno mai elevate o tali da dare originalità di pensiero; così, una volta resi fiduciosi del nostro potere e ben trattati, essi non desidereranno di meglio che restarci sottoposti e magari affiancarci in qualsiasi nostra impresa coloniale nell'avvenire, eventualmente - ed anzi con tanto maggiore entusiasmo! - fuori i confini dell'Etiopia. Ve li induce l'innato senso di fedeltà verso chi stimano e lo spirito bellico ineguagliato da ogni altro Africano." (3)

Cipriani era considerato un importante antropologo (era anche direttore del Museo Nazionale di Antropologia e di Etnologia di Firenze) e firmerà il “Manifesto della Razza”, che ispirerà le leggi razziali approvate in Italia nel 1938.
Secondo Cipriani era evidente e indiscutibile la suddivisione degli esseri umani in razze così come indiscutibile era il principio che vedeva inestricabilmente legate le caratteristiche fisiche e quelle comportamentali e mentali. Cipriani compie interminabili misurazioni e classificazioni, credendo di individuare la presunta essenza delle razze attraverso il somatico. Egli scrisse:

"Le razze differiscono tra loro in svariati modi, all'infuori di quanto è noto a tutti circa il colore della pelle, la natura dei capelli, la forma del naso, della bocca, della faccia e dell'intera testa, il volume e le dimensioni, assolute e proporziali, delle singole parti del corpo. Certamente, funzioni quali le circolatorie, le digestive, le respiratorie, le sessuali, le secretive ed altre, offrono non poco di diverso fra razza e razza; e così pure la successione dei periodi di accrescimento, la distribuzione dei gruppi sanguigni, l'acuità sensoriale, l'equilibrio ormonico, quello nervoso, i tempi e le modalità delle reazioni nervose, la forza renale, la fecondità e la frequenza dei sessi, il modo di reagire alle influenze ambientali e alle malattie, sì che può benissimo fondarsi una fisiologia e una patologia comparata delle razze. In particolare variano e talora notevolmente, le doti psichiche. (...) Occorre convincersi che senza una oculata difesa dall'incrocio colle razze africane, si rischia di cambiare in peggio le nostre qualità ereditarie e distruggere la ragione prima dei privilegi da noi goduti finora. All'opposto, per tutte le popolazioni cosiddette primitive - intendendo, in base a vieti preconcetti darwiniani, genti all'inizio ben poco è ormai da sperare in quanto a vero progresso; un solco profondo e insuperabile le divide dalla razza bianca e impedisce loro di acquistare le attitudini creative di questa." (4)

L'individuo veniva visto attraverso il gruppo di appartenenza, svelato dalle misure e dall'estetica del suo corpo, e la sua cultura veniva considerata statica e chiusa.
Il muro tra il bianco e il nero, tra il civilizzato e il primitivo sarà propagandato e scientificamente giustificato allo scopo di imporre il rapporto imperialistico dell'europeo sulle altre popolazioni. La cosiddetta "missione civilizzatrice" sancì il mito della superiorità del bianco e del suo dovere di portare la civiltà laddove si riteneva non ci fosse. L'indigeno sottomesso diventò il totalmente altro che si faceva carico delle proiezioni archetipiche dell'inconscio collettivo della civiltà europea. Il nero evocava l'inaccettabile uscita dai tabù morali e, come un animale che non frena gli istinti, doveva essere trattato con durezza e sottomesso.
Alle argomentazioni scientifiche si aggiungevano quelle religiose, si attribuiva il destino di sottomissione dei neri alla loro discendenza da Cam che fu maledetto da Noè e condannato, lui e i suoi discendenti, ad essere sottomesso e servo.
L'idea era stata sostenuta da George Best, che nel 1578 aveva scritto una relazione per affermare che il colore nero della pelle derivava dalla maledizione divina. Nella relazione si legge:

"(...) Contravvenendo queste buone istruzioni e esortazioni il suo malvagio figlio Cam disobbedì, e nella persuasione che il primo bambino nato dopo il diluvio, per diritto e legge di natura, avrebbe ereditato e posseduto tutti i domini sulla terra si accompagnò con la sua donna quando ancora erano nell'arca, e con ciò proditoriamente mise le premesse per diseredare la discendenza dei suoi due altri fratelli. Per questo malvagio e detestabile fatto, esempio di disprezzo di Dio onnipotente e di disobbedienza ai genitori, Dio volle che nascesse un figlio, il cui nome fu Cush, e che non solo lui, ma tutta la sua posterità dopo di lui fosse nera e disgustosa, perché potesse rimanere spettacolo di disobbedienza per tutto il mondo. E da questo Cush nero e maledetto derivano tutti quei mori neri che si trovano in Africa. (...) Si vede pertanto che la causa della nerezza degli Etiopi è la maledizione e l'affezione naturale del sangue, e non l'eccessiva temperatura del clima. (...) Il colore nero degli africani non è perciò un argomento valido per denigrare il clima della zona equatoriale. Possiamo dunque essere ben certi che sotto la linea equinoziale è il luogo più piacevole e dilettevole che vi sia al mondo". (5)

Diverse religioni cristiane hanno associato il popolo nero con il popolo maledetto e formulato una vera e propria dottrina. Ad esempio, la Chiesa dei Mormoni, religione cristiana nata all'inizio dell'Ottocento negli Usa, escluse i neri dal sacerdozio fino agli anni '80 del secolo scorso, proprio per questa presunta maledizione.
Di certo fu molto efficace coinvolgere anche le dottrine religiose in questo processo che avrebbe portato l'europeo ad avere la licenza di compiere ogni ingiustizia e crudeltà a danno del nero.
Il razzismo coloniale fu indubbiamente un razzismo senza scrupoli, con finalità di dominio e di sfruttamento, e fece leva su stereotipi atavici generati da paure e dalla non conoscenza dell'altro.
Il fenomeno degli zoo umani va sicuramente collegato al periodo in cui si affermarono i miti positivisti e scientisti del progresso e della superiorità della civiltà occidentale su tutte le altre, e nasceva anche l'imprenditoria dello spettacolo e dell'intrattenimento, che sempre più importanza avrebbe avuto col passare del tempo.

Dopo la Prima guerra mondiale, periodo in cui ormai il potere europeo sulle colonie si era consolidato, emergeva anche un'altra immagine del "selvaggio", quella di un soggetto docile, sottomesso al bianco, un po' sciocco ma buono; è l'immagine dell'indigeno che è stato “civilizzato” e non deve fare più paura ma deve essere utilizzato come servo e come lavoratore. Ad esempio, la nuova percezione dell'indigeno è presente nell'Esposizione coloniale internazionale di Vincennes del 1931 che, estesa su un terreno di centinaia di ettari, rappresentò l'evoluzione dello zoo umano che ora appariva come un luogo in cui si svolgeva la missione civilizzatrice degli europei cristiani che espletavano così il loro paternalistico dovere di acculturazione. L'indigeno non era più chiuso in gabbia, ma posto all'interno di un determinato ambiente. Egli rimaneva comunque un essere inferiore, ma c'era l'idea che avesse acquisito sembianze più "umane" grazie agli europei che lo avevano vestito, educato, e gli avevano permesso di indossare una divisa e di combattere per loro. Era accaduto che i battaglioni coloniali avevano ricoperto un ruolo importante in alcune battaglie durante la Prima guerra mondiale e diversi giornali li avevano elogiati incrinando quell'immagine di pura animalità che aveva dominato negli anni precedenti.

Nel 1931 l'esposizione parigina presenterà l'indigeno coloniale vestito e preparato a lavorare o a combattere. Per l'Europa sono anni di crisi in cui le contraddizioni fra i valori della Società delle Nazioni e le crudeltà delle colonie emergono fino alla terribile guerra e ai successivi processi di decolonizzazione, epoca in cui gli zoo umani appaiono ormai improponibili e vengono rimossi dalla coscienza collettiva.
Lo studio degli zoo umani costituisce a tutt'oggi un fenomeno culturale di grande rilevanza nella conoscenza delle radici del nostro rapporto con l'altro, con lo straniero, nella dinamica razzista del periodo coloniale e nelle successive rimozioni o modificazioni.

Nell'agosto del 2002 in Belgio fu allestita l'esposizione (6) di un gruppo di pigmei in un parco che ricreava l'ambiente della foresta pluviale, habitat dei pigmei di etnia Baka. I pigmei furono incoraggiati ad una vera e propria esibizione etnica di canti e balli. L'iniziativa dell'esibizione era partita dall'associazione Oasis Nature e da autorità cittadine di Yvoir con la motivazione di raccogliere fondi per migliorare la condizione dei pigmei e per poter costruire nel Camerun 17 punti di raccolta dell'acqua, 4 infermerie e 4 scuole.
Furono sollevate molte polemiche e proteste da associazioni per i diritti umani come l'Mnm (Mouvement des noveaux migrants).
Si rispose alla polemiche e alle accuse di razzismo sostenendo che l'iniziativa era di natura umanitaria, ma non si è spiegato perché non si fosse organizzato qualcos'altro, ad esempio un convegno o una conferenza (a cui si sarebbe data anche la parola ai diretti interessati), piuttosto che uno spettacolo circense simile a quelli degli zoo umani.
Alcuni autorevoli esponenti di associazioni umanitarie e alcuni autori (7) citano questo caso per affermare che le pratiche razziste non appartengono soltanto al passato e che sarebbe un errore pensare che nel presente non ci possano essere rigurgiti del vecchio eurocentrismo o sensi di superiorità e comportamenti di sopraffazione culturale. Dall'esempio dei pigmei del Camerun, ci chiediamo perché c'è ancora la tendenza ad esporre esseri umani nella veste di soggetti primitivi da osservare in un ambiente artefatto che possa creare un'attrattiva (nel caso dei pigmei c'era anche il fattore “specie in estinzione”).
Forse non si è ancora compreso che non esiste nessun diritto delle razze superiori (8) anche se per diversi secoli le autorità europee se ne sono valse per depredare, uccidere e sottomettere.
Per molto tempo il rapporto con “l'altro” è stato improntato al rifiuto, condannandolo alla miseria e al disprezzo. Miseria e disprezzo che ancora oggi in molti casi vengono indirizzati ai discendenti delle vittime coloniali: gli immigrati.



Articolo correlato:
“L’ossessione genetica. Lo sterminio dei popoli non bianchi”
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2007/10/lossessione-genetica-lo-sterminio-dei.html


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NOTE

1) Vedi Nicolas Bancel, Pascal Blanchard e Sandrine Lemaire, "Gli zoo umani della Repubblica coloniale", in Le monde, Settembre 2000.
2) La frenologia era nata ad opera del medico tedesco Franz Joseph Gall (1758-1828) che sosteneva la possibilità di conoscere la psicologia delle persone esaminando la forma del cranio. I frenologi toccavano con le dita o i palmi delle mani la testa per tastare possibili depressioni o elevazioni nella forma del cranio. Si valevano anche del calibro o del nastro millimetrato. Da questa 'lettura' del cranio derivavano giudizi sulla personalità o le attitudini dell'individuo.
3) Cipriani Lidio, "Gli etiopici secondo il razzismo", I, 5: 34
http://www.golemindispensabile.it/Puntata9/articolo.asp?id=460&num=9&sez=134&tipo=&mpp=&ed=&as=1
4) Cipriani Lidio, "Razzismo coloniale", in “La Difesa della Razza”, n.2, 20 agosto 1938.
5) Best George, "A True Discourse of three Voyages of Discoverie", in Gliozzi G., "Le teorie della razza nell'età moderna", Loescher, Torino 1986, p. 129.
6) "Benvenuti nello 'zoo umano'", da "Il manifesto" del 22 Agosto 2002.
7) Berhuse S., "L’affaire des Baka du Cameroun en Belgique", in http://belgium.indymedia.org/news/2002/09/31136.php,
8) Vedi Maurice T. Maschino, "Da Jules Ferry a Massu, per il diritto di dominio delle “razze superiori”", "Le Monde Diplomatique", Luglio 2002.

lunedì

IL NUOVO JEEG ROBOT D’ACCIAIO - Come “mangiare” schermi cibernetici e insalate di microchip per vivere ignari e beati

Di Antonella Randazzo




Per far sopravvivere il sistema attuale urge una trasformazione delle masse. Non basta più l’ipnosi collettiva, occorre rendere i singoli individui come “robotizzati”, ovvero mentalmente ed emotivamente controllati, al fine di eliminare completamente ogni pericolo di evoluzione e di indipendenza. Tale progetto può suscitare ilarità per la sua apparente assurdità, ma in realtà è già in atto da diverso tempo, nella totale inconsapevolezza della maggior parte degli abitanti del pianeta. Le prove a sostegno di ciò sono talmente tante che si potrebbe scrivere un trattato. In questa sede saranno brevemente considerati gli aspetti più evidenti. Non si tratta soltanto del controllo mediatico, ma anche di altre tecniche per controllare la vita emotiva e sociale. A confronto la rigidezza dei metodi gesuitici impallidisce.
Il nuovo robot si sta costruendo attraverso programmi mediatici, prodotti tecnologici e giochi virtuali. Egli non si accorgerà di essere tale, e potrà essere diretto da chi possiede i poteri di azionare i suoi meccanismi.

Il sistema ci vuole diversi da come siamo. Ci vuole disposti a credere alle panzane mediatiche senza alcun senso critico. Vuole che ci sentiamo inadeguati, di scarso valore, complessati se siamo precari, disoccupati o al verde, incapaci di vivere una vita “piena” e dunque disposti a diventare “programmati”, a costo di sentire stress e infelicità.
Con i suoi metodi altamente manipolativi, l'assetto attuale ci vuole inclini ad accettare uno stile di vita improntato al materialismo consumistico e all'egocentrismo, come se fossimo incapaci di ritenerci più di un corpo fisico e di un insieme di pulsioni istintive.
Con la stessa tecnologia ci vengono poi offerti palliativi per tentare di sfuggire all'infelicità. Sono stati persino prodotti "giochi" per creare un'altra esistenza, o chat in cui sempre più persone trascorrono tutto il tempo libero, sottraendolo alla vera socializzazione o ad attività creative.
Il nuovo robot umano socializza all'interno di precisi canali, prova le emozioni concesse dal sistema, utilizza prodotti tecnologici e non si fida granché della sua personale esperienza.

Nel mondo ricco, si esalta la tecnologia come fosse la fonte per eccellenza del progresso umano, offrendo "effetti speciali" accattivanti per convincere e nascondere la condizione alienante in cui l'uomo contemporaneo si trova a vivere.
Sempre più persone, soprattutto europee, statunitensi e giapponesi, trascorrono il tempo libero all'interno di una "realtà" virtuale, in cui vivono rapporti umani, di coppia o erotici.

Come ho già avuto modo di spiegare in passato, gli aspetti negativi di Internet, da capire e contrastare, sono tanti. Il contesto della rete non può includere la percezione di oggetti o persone reali, mancano gli aspetti emotivi, che soltanto nel mondo concreto esistono. E’ ovvio che i computer non possono mai sostituirsi alla realtà, e può essere dannoso credere di poter fare a meno dell'esperienza reale, sostituendola del tutto o in parte con quella virtuale.

Lo schermo crea una “realtà”, che può condizionare quando non si ha consapevolezza dei meccanismi e si accettano alcuni aspetti perché popolari o per abitudine.
Il problema è capire come la realtà virtuale incide sul nostro modo di essere e sul comportamento, modificando abitudini, potenzialità cognitive, modi di essere e rapporti sociali.
Molti studiosi parlano di riduzione delle complesse potenzialità umane, impoverendo la qualità delle relazioni sociali e l'uso umano di risorse che il computer non potrà mai avere, come l'intuito, la capacità di complessi collegamenti semantici, o lo scambio di "energia" vitale. In altre parole, la ricchezza della comunicazione e della conoscenza "reale" può essere limitata in qualità e quantità dall’uso massiccio del computer per stabilire rapporti sociali o per altri usi.

Su Internet si può creare una suddivisione in "greggi", all'interno dei quali si creano significati fondamentali che possono essere trasformati in etichette o diventare dogmatici, riproponendo la medesima realtà di massificazione e di mancanza di libertà di pensiero presente negli altri media.

Inoltre, su Internet si potrebbero ricreare quei meccanismi propri della folla, studiati dalla psicologia sociale. Si tratta di meccanismi che prevedono il superamento delle comuni regole sociali grazie all'anonimato o alla possibilità di un'identificazione fittizia. Il senso dell'anonimato, nelle folle, accresce la possibilità di comportamento non costruttivo o istintivo, ovvero si sfoga il senso di oppressione che il sistema potenzia nell’individuo.
Oggi proliferano i social network, e sempre più persone trascorrono molto del loro tempo libero davanti allo schermo del computer.
Sta di fatto che l’aderire in massa a ciò che lo stesso sistema produce potrebbe rappresentare uno scacco alla possibilità di distruggere l’attuale sistema, nella misura in cui si accettano i palliativi in forma di svago e canali di socializzazione.
Non dimentichiamo che in un mondo davvero libero non si tende ad essere tutti uguali e non si corre a fare in massa tutti le stesse cose.

Il maggior dovere degli esseri umani allo stato attuale delle cose dovrebbe essere quello di agire per salvare il futuro del pianeta dalla distruttività a cui lo sta portando l’attuale gruppo al potere. Ovviamente ogni persona può utilizzare il suo tempo come vuole, ma occorre essere consapevoli che il sistema stesso elabora ninnoli e svaghi per impedire alle persone di porre attenzione a ciò che è davvero importante.

Negli ultimi tempi è esploso il fenomeno Facebook, che promette di poter contattare persone note o vecchi amici. Questo mese gli utenti del social network sarebbero saliti a ben 200 milioni, superando il rivale MySpace. In Italia gli utenti che hanno navigato su Facebook sarebbero oltre 10 milioni.
Facebook sembrerebbe offrire soltanto vantaggi, offrendo un servizio di contatti sociali del tutto straordinario. Ma come mai è sostenuto dalle stesse società che promuovono il sistema e che in altri ambiti saccheggiano o controllano?
Qual è l’inghippo?

Ovviamente qui non si sta criticando chi si iscrive ai social network perché credo che ogni persona sia libera di fare ciò che vuole, e penso anche che gli iscritti non abbiano tutti la medesima assiduità e la loro iscrizione ha diverse motivazioni, da rispettare. Qui si vuole soltanto mostrare l’altra faccia del fenomeno, quella che non sarà mai discussa da Bruno Vespa a “Porta a Porta”.

Il fenomeno dei social network ha lati che vale la pena considerare. Non si vuole certo demonizzare la possibilità offerta dal web di socializzare, ma si vogliono analizzare i possibili retroscena di queste opportunità offerte con estrema facilità a tutti. L’apparente asetticità contrasta con il legame stretto che il social network ha col sistema e con le sue caratteristiche. Alcuni autori notano che di solito la comunicazione tende ad essere appiattita, semplificata e privata delle caratteristiche empatiche che potrebbe avere nella realtà.
Osservano Cinzia Arruzza e Felice Mometti nell’articolo "Una repubblica fondata sul web":

“«Facebook» è uno strumento di comunicazione che uccide la comunicazione nel momento stesso in cui la produce. È un'immensa catena di montaggio di produzione di parole private di un soggetto. Questa enorme circolazione di parole, di commenti, di note e di immagini non ha spesso altra ragione se non il desiderio di presenza, e dunque di esistenza in rete, indipendentemente dal contenuto della comunicazione, dal suo soggetto e dalla relazione reale tra i soggetti della comunicazione. Si stanno moltiplicando anche i casi di censura che riguardano ad esempio gruppi di madri che allattano i figli, dibattiti sull'aids e i preservativi, alcuni partiti politici, video che mettono alla berlina giornalisti televisivi, account cancellati all'improvviso e senza motivo. Le regole di «Facebook» vietano la pubblicazione di materiale genericamente offensivo e che può danneggiare la «compagnia». Il potere discrezionale per stabilire ciò che viola le condizioni d'uso di «Facebook» è talmente elevato arrivando a prevedere il cambiamento delle stesse condizioni senza preavviso. A volte si esagera provocando la reazione degli utenti, come alcune settimane fa, quando la società proprietaria di «Facebook» ha tentato di appropriarsi del copyright di tutto il materiale messo in rete sul social network anche di utenti che disattivassero la propria iscrizione. Certo i gestori del sito hanno fatto un passo indietro, non specificando tuttavia i limiti e le condizioni di uso dell'immensa mole di testi, video, foto e applicazioni prodotti dagli utenti. Ancor più grave è l'opacità del funzionamento del software di pubblicità mirata, che appare ogni volta che un utente si connette al proprio profilo in base alla frequenza di navigazione, ai gruppi a cui si è iscritti, alla nazionalità, allo stato civile… l'approccio semplicistico o individuale al social network, per cui si crede di poterlo utilizzare in modo politicamente utile, semplicemente perché si fanno veicolare contenuti «partigiani», si creano gruppi e cause, si organizzano eventi, rischia di sottovalutare la potenza dei meccanismi impersonali che lo regolano e di non far altro che alimentare il Minotauro. Questa riflessione è tanto più urgente, quanto più il fenomeno «Facebook» sta diventando dilagante, un autentico fenomeno di massa, che potenzialmente modificherà le forme di comunicazione e di relazione anche fuori dalla rete”.(1)

Il social network è una rete sociale che mette in contatto persone per i più svariati motivi, per creare legami sociali, per motivi di lavoro, per creare gruppi a tema, ecc. Le reti sociali su Internet mettono in scena gli stessi limiti intrinseci della rete.
Alcuni si iscrivono a queste reti per l’effetto “lo fanno tanti e lo faccio anch’io” senza riflettere particolarmente e ritenendo il fatto così comune e popolare da trascinare l’attenzione.

I social network online si diffusero a partire dal 2003, e oggi i più popolari sono Facebook e Myspace. Su questi social network si tende addirittura a creare un particolare linguaggio, riproponendo l’appiattimento semantico proprio della cultura di massa.
Per entrare a far parte di un social network online basta creare un profilo personale, e fornire un proprio indirizzo email. Si possono precisare esperienze musicali, lavorative, gusti artistici, propensioni ideologiche ecc., al fine auspicare i contatti con altri utenti che si identificano con le caratteristiche indicate, fino a creare una cerchia di contatti più o meno ampia. Si possono creare community tematiche sulla base di passioni, idee, aree di business, ecc.

Su Facebook è noto il caso dei “fake”, ovvero dei falsi profili di persone che non si sono mai iscritte al sito. Persino il papa avrebbe ben quattro fake. Spesso non si può essere certi dell’identità della persona contattata, e chiunque può definirsi in qualsiasi modo, tanto le possibilità di verifica non ci sono se non si incontra la persona nella realtà.

Altro fatto risaputo è la difficoltà a togliere dal sito il materiale inviato, anche quando la persona interessata non ha mai voluto inviare la tal foto che la ritrae. La trafila per eliminare il materiale inviato è lunga e occorre provare di essere stati “taggati”, ovvero di essere vittima di qualcuno che ha voluto inviare senza autorizzazione quel materiale. In teoria il materiale inviato può essere rimosso quando si vuole, ma la programmatrice Cristina D'Arienzo ha provato a caricare un'immagine sul suo profilo e poi a rimuoverla, ma notava che la foto rimaneva comunque raggiungibile nel web.
Sembrerebbe dunque che Facebook, anche quando l’utente chiede la cancellazione, si arroghi il diritto di conservare dati o informazioni.
Chi ha cercato di cancellare il suo profilo si è visto sparire il profilo e il materiale inviato, che però rimaneva raggiungibile da chiunque nel web. In altre parole, si può far cancellare l’account ma i dati inseriti rimangono. E’ chiaro che si tratta di violazione della legge sulla privacy. Proprio per violazione della privacy è stata sollevata una causa collettiva presso la Corte Distrettuale di San Jose, in California.

A tutela della privacy si è fatto sentire anche il Commissario europeo per la Società dell'Informazione Viviane Reding che accusa i social network di non avere tutela della privacy dei propri utenti. Il commissario chiarisce il punto di vista dell'Unione Europea attraverso un videomessaggio, in cui dice:
"Le informazioni su una persona possono essere usate solo con il suo previo consenso: non possiamo rinunciare a questo principio di base e avere tutti i nostri dati registrati in cambio di una promessa di pubblicità più mirata".(2)

Il comico Dario Cassini ironizza su Facebook: “Sono il primo comico italiano schierato contro questo lavaggio del cervello di Facebook!!... Che cos’è facebook?... a che serve?... serve a fare amicizia… ma la cosa drammatica è che la gente ti chiede amicizia, posso diventare amico tuo … ma la realtà è che gli amici fanno effetto, … guardi sul tuo monitor “Dario ha 5400 amici” son tanti… cammini dentro casa e pensi “è fantastico, ho 5400 amici” … e ti domandi quant’è bella l’amicizia… poi un attimo dopo ti fermi e pensi “ma se io ho 5400 amici come mai pure stanotte sto in mutande solo come un cane davanti a ‘sto computer e mi sto mangiando un sofficino solo … e se va bene fra una mezzora trovo coraggio e faccio finalmente un po’ di sesso da solo”… facebook ha un solo fine nella vita: togliere le ansie alla gente… gli ex cercano le ex e le ex cercano gli ex, perché in un mondo dove la certezza non esiste, dove il sentimento è flagellato dove l’amore non è mai la risposta giusta … ho bisogno di sapere che te (la ex) stai messa molto peggio di me”.(3)

I social network servono anche ad attrarre pubblicità e occasioni di marketing. Ad esempio, esistono le SocialAds, che consistono nella possibilità di inserire messaggi pubblicitari sulla home page personale, e le Facebook pages, che contengono marchi e i prodotti pubblicizzati dalle società.
Ma l’opportunità più notevole offerta è quella della pubblicità indiretta, che consiste, ad esempio, nel parlar bene di un ristorante, negozio o prodotto, apparentemente in modo del tutto spontaneo. Di fatto, specie se a parlare di un dato prodotto è un personaggio influente o popolare, l’effetto pubblicitario è garantito. Per questo motivo, a proposito del “marketing conversazionale” si parla di una “nuova era della pubblicità”, assai più sottile ed efficace dei soliti spot televisivi che molti ormai glissano. Ovviamente questo non vuol dire che tutti quelli che parlano di un prodotto o di un servizio lo facciano per fini pubblicitari, ma che di certo alcuni lo fanno.

Esistono altri modi tecnologici per appiattire la realtà o per controllare gli individui.
Secondo alcuni studiosi, il controllo dei cittadini avverrà in futuro attraverso sofisticate apparecchiature elettroniche piccolissime, dette microchip. Il microchip potrà essere un grande fratello posto dentro il nostro stesso corpo, e sarà reso accettabile da una propaganda che mira a far credere che si tratti di un oggetto utile per la "sicurezza" o la salute. In questa propaganda sarà detto che chi lo porta non potrà essere rapito, che il genitore potrà proteggere meglio il bambino, che alcuni microchip curano malattie o aiutano in determinate patologie, ecc. In realtà si tratta di apparecchiature che pongono il soggetto sotto il potere di chi le controlla.
Grazie alla propaganda, la famiglia statunitense Jacobs (4) si è convinta a farsi impiantare sottopelle il VeriChip, un modello di microchip lungo 11,1 millimetri, con un diametro di 2,1 millimetri e una frequenza di 125 kHz.
Si tratta di un microcomputer in grado di dialogare con un normale computer. Al suo interno, per il momento, verranno registrati tutti i dati medici dei Jacobs.
Alcuni tipi di microchip di ultima generazione, detti Bio-chip, hanno le dimensioni di un chicco di riso, e contengono un "transponder" e una batteria al litio.
Transponder è un sistema che permette l'immagazzinamento in microcircuiti integrati delle informazioni, e la lettura attraverso onde a distanza. Uno di questi modelli è chiamato Mondex, ed è distribuito in 20 paesi, fra cui il Canada, la Cina, la Gran Bretagna, Israele, l'Indonesia, la Malesia, le Filippine, il Nicaragua e l'Honduras. Di solito questi microchip vengono inseriti nel palmo della mano destra. Secondo alcuni esperti, come il dott. Carl Sanders, se la batteria al litio si dovesse rompere causerebbe danni all'organismo e dolori molto forti.
Già dal 1993 l'azienda americana Destron Idi, del Colorado, costruisce e pubblicizza microchip elettronici di identificazione (LD.I.CHIPS), e da tempo alcuni microchip sono utilizzati per il controllo e l'identificazione degli animali d'allevamento e degli animali domestici.

L’idea di impiantare chip a scopo di controllo divenne nota dagli anni Novanta, ma soltanto dopo l'11 settembre i media iniziarono a rafforzare la propaganda a favore dell'inserimento di etichette RFID all’interno del corpo umano, per motivi di "sicurezza". Molti militanti per i diritti umani hanno sollevato la questione della privacy e del controllo, cercando di frenare il fenomeno. Tuttavia, sembrerebbe che le ditte che producono microchip abbiano venduto migliaia di prodotti, di cui almeno un migliaio è stato impiantato in umani. Secondo Angela Fulcher, vice presidente del marketing di VeriChip, il microchip "Viene utilizzato al posto di altre applicazioni biometriche, come le impronte digitali".(5)

I clienti latino-americani li comprerebbero per motivi di sicurezza, ad esempio in Messico sono stati venduti col pretesto che ci sono molti rapimenti di minori.
Una società dell’Arizona, la Technology Systems International, ha creato etichette RFID per controllare i detenuti. I bracciali per detenuti di TSI trasmettono segnali ogni due secondi a una batteria di antenne montate sul penitenziario. Un computer può determinare la posizione esatta di ogni detenuto e ne può controllare gli spostamenti.
La tecnologia TSI viene utilizzata anche negli ospedali, per controllare gli spostamenti degli individui all’interno dell’ospedale e lanciare un allarme se un paziente dovesse stare male. Oppure per monitorare i pazienti affetti dal morbo di Alzheimer.
Scriveva il giornale londinese "Sunday Times" del 16 aprile 1995: "In futuro gli scienziati vogliono inserire microchip elettronici nelle nostre teste, in modo che potremo collegarci direttamente all'autostrada informatica. I ricercatori britannici fanno parte del team internazionale che lavora al progetto di un impianto che traduca il pensiero umano nel linguaggio informatico".
Oggi ci sarebbero diverse persone con microchip negli Stati Uniti, in Sud America e in Gran Bretagna.

Il controllo robotizzante renderà la vita sociale sempre più “virtuale” o superficiale, e, come nei "reality", potrà essere improntata al litigio, al pettegolezzo, all’incomunicabilità e al senso di solitudine, vuoto e separazione.
La vita emotiva "reale" sarà appiattita dallo stile di vita e dal bisogno di ottundimento che deriverà sempre più dai problemi economici, lavorativi e affettivi che le persone dovranno affrontare. Saranno allora i mass media a stimolare le risposte emotive, attraverso programmi spazzatura che evocheranno le risposte emotive più immediate, provocando una pseudo-catarsi. Le emozioni saranno canalizzate su binari non pericolosi, facendo in modo che la vera rabbia per la condizione frustrante in cui si vive divenga bisogno di rimanere agli aspetti più superficiali dell'esistenza, magari criticando le scelte degli altri o facendo pettegolezzi.
I reality puntano a mostrare scene di accesa emotività, (pianto, litigi, eccitazione emotiva, ecc.) per coinvolgere gli spettatori in un clima di disordine emotivo, e per fare in modo che le persone si svaghino pensando ai problemi altrui anziché meditare sulla vera realtà. Dunque, i reality, oltre ad avere una funzione (come altri programmi) di diffusione di una realtà falsata e ridotta agli aspetti più immediati, assolvono anche alla funzione di stornamento delle emozioni e dei pensieri da cose che potrebbero essere scottanti verso cose futili, transeunti e inutili.
I reality vengono congegnati in modo da stimolare gli aspetti meno nobili della realtà umana, attraverso l'insulto, il pettegolezzo, il litigio e la volgarità. Viene mostrata un'emotività straripante, talvolta non equilibrata. Ad esempio, alcuni protagonisti, dopo pochi giorni che si trovano nella casa del "Grande Fratello", piangono a dirotto quando hanno modo di parlare con i parenti. Ma nella vita mormale tutti noi possiamo allontanarci dai parenti per alcuni giorni (ad esempio quando andiamo in vacanza o per lavoro) e non piangiamo a dirotto quando torniamo. Nei reality tutto viene esasperato, ed è promossa una sorta di "ritorno al primitivo". Ad esempio può essere posto in primo piano il problema del cibo, del russare o del lavarsi; viene negata la lettura dei libri e i corpi diventano protagonisti nei commenti e nelle critiche.
Con la scusa del "gioco", attraverso il "Grande Fratello" si diseducano i giovani al vivere pacifico, alla serenità con i propri simili e alla solidarietà. Vengono mostrate in particolar modo le scene di litigi, di seduzione sessuale o di attrito fra i partecipanti. Addirittura, anche dopo la fine del programma, i protagonisti sono invitati in altri programmi (come "Questa Domenica") in cui vengono in vari modi aizzati gli uni contro gli altri oppure spinti a far emergere gli attriti e i rancori vissuti dentro la casa. Si tratta di una pedagogia dello scontro o della sessualizzazione dei rapporti, in linea con ciò che prevale anche negli altri programmi televisivi o negli altri media.
Alcuni studiosi hanno trovato nel reality "Grande fratello" una metafora dell’esistenza. Infatti, come nella vita reale esiste un potere che osserva, impone regole, punisce o premia. Tale sistema di potere impone anche il livello di esistenza, favorendo la regressione quasi a livello animale. Impone anche le performance, gli imprevisti e le sorprese. Come nel “Truman Show” le persone sono accuratamente sorvegliate in modo tale che il “gioco” riesca bene. Nella realtà si tratta di controllare per impedire il realizzarsi di una libertà che porterebbe ad elaborare proprie regole e dunque a distruggere il sistema precedente.

Anche i serial televisivi, le telenovele o le soap opera (Sentieri, Beautiful, Centovetrine, Febbre d'Amore, ecc.) influiscono sulla mente delle persone, presentando i fatti all'interno di una cornice emozionale quotidiana. Lo scopo principale di queste produzioni è di far vivere emozioni, provocate non dalla vita reale ma da fatti irreali e spesso assurdi. Gli eventi sono intrecciati fra loro in modo tale da attrarre l'attenzione sui personaggi, sul loro operato e sulle loro scelte, evitando di far attendere la conclusione, che tarderà ad arrivare, dato che tali produzioni possono durare anche molti anni. Il pubblico è generalmente femminile, anche se negli ultimi anni è cresciuto il numero dei telespettatori maschi. Le trame delle soap opera puntano a suscitare un "appagamento compensatorio" in esistenze in cui la routine quotidiana è noiosa e spesso problematica. Presentare personaggi attraenti, eleganti, ricchi, petrolieri, creatori di moda, gestori di grandi alberghi o medici importanti, significa rendere le persone comuni partecipi, seppure fittiziamente, di ambienti che probabilmente non avvicineranno mai nella realtà. Gli spettatori seguiranno gli eventi con l'illusione di arricchire la propria esistenza, e ne saranno così coinvolti che ne parleranno come si trattasse di persone reali, cercando di prevedere le future mosse dei personaggi o criticandoli per i loro errori.
In queste produzioni gli uomini e le donne sono spesso in contrasto o nemici, e anche quando sono marito e moglie appare il tradimento o la mancanza di amore. Spesso chi attende un figlio ha tradito e il bambino non è del marito o del compagno. In altri casi si è innamorati di un altro pur avendo un marito. I temi fissi sono dunque il contrasto, anche molto acceso, fra le persone, il tradimento, l'inganno e la promiscuità sessuale. Lo scopo è quello di seminare sfiducia nei rapporti umani e nella coppia. Gli uomini e le donne appaiono inaffidabili, infantili, oppure vittime di tradimento e inganni. Se non si è carnefici si deve essere per forza vittime. Gli amori sono sempre difficili e contrastati. Gli ostacoli possono essere di vario genere, e quando alcuni vengono risolti ne appaiono altri. Non c'è quasi mai una coppia felice a lungo.
Spesso gli eventi delle soap opera sono creati in modo tale da generare ansia e inquietudine, persino quando ci sarebbe una via logica di risolvere il problema posto.
Talvolte vengono poste situazioni inverosimili o assurde (la persona morta che ritorna, la persona che cambia volto, i gemelli uno buono e l'altro cattivo, ecc.), ma ciò nonostante le persone possono continuare ad identificarsi con i personaggi. Le scene di crudeltà, delitti, o aggressività, accrescono l'inquietudine dello spettatore. Spendere la propria esistenza guardando per ore programmi spazzatura o produzioni di dubbia qualità, significa anche non avere esperienze di crescita collettiva, e sentire il vuoto dovuto alla solitudine e alla mancata realizzazione delle potenzialità personali.

Nel provare emozioni stimolate dall'esterno, l’uomo di oggi può perdere il riferimento alle proprie esperienze e alle proprie vere emozioni, che potrebbero essere di rabbia contro il sistema; oppure potrebbe emergere il bisogno di vivere un'esistenza di maggiore qualità sociale e umana.

La manipolazione emotiva avviene anche in ciò che è diventato il rapporto fra i sessi, nei continui tentativi di svilire tale rapporto attraverso varie tecniche.
Per diversi secoli la nostra cultura si è prodigata ad alimentare il senso romantico dei rapporti uomo/donna. Tale romanticismo si manifestava attraverso il vedere l'amata (Petrarca), attraverso l'amore ostacolato (Shakespeare), o attraverso l'amore proibito (Dante). In tutti i casi c'è l'incontro con la persona amata, che alimenta l'unicità dell'altro, concentrandosi sulle peculiarità spirituali di chi fa scaturire il sentimento amoroso.
Da alcuni decenni la nostra cultura è entrata in una nuova fase, in cui i rapporti uomo/donna si sono caricati di elementi nefasti, e caratterizzati da difficoltà comunicative, divisioni ontologiche o sociali e da reciproca diffidenza. L'amore romantico sembra essere diventato frutto di fantasia, sganciato dall'essere dell'altro, e poco duraturo. Negli ultimi decenni, i mass media hanno potenziato gli aspetti sessuali del rapporto uomo/donna, attraverso le pubblicità e i messaggi diretti o indiretti di tipo sessuale. La cultura di massa ci vede tutti conformisti, e allo stesso tempo in lotta. Le produzioni cinematografiche sono ormai quasi tutte destabilizzanti per i rapporti di coppia: le famiglie sono presentate come "allargate" o disgregate da separazioni o divorzi, e le coppie di innamorati sono sempre più in "crisi", o vivono "evasioni", indicate implicitamente come "comuni".
In alcuni casi sembra che non sia più il tempo dei rapporti amorosi, ma dei rapporti "di consumo". Chi non sta al gioco finisce per apparire retrogrado, poco aggiornato sui tempi o, nella peggiore delle ipotesi, un inibito sessuale. Le chat offrono talvolta uno spaccato di ciò che oggi sono diventati i rapporti uomo/donna: un mix di incomunicabilità, superficialità, senso di vuoto e paura. Spesso si evita ogni autentica comunicazione, chiusi nella prigionia di se stessi, spersonalizzati e con un'illusione di libertà, ridotta a possibili rapporti sessuali. Davanti allo schermo anche i residui di spontaneità, che si manifesterebbero nella realtà, vengono a mancare, lasciando il posto ad un'atmosfera fittizia, in cui si pensa di "divertirsi", o di "provare sensazioni".

Internet è diventato anche un "luogo" virtuale che produce effetti sul pensiero e sul comportamento. Tali effetti risentono del mancato approfondimento intellettuale: molte persone si sono disabituate alla lettura trascorrendo ore davanti allo schermo (della TV o del computer), e questo produce effetti passivizzanti che sono funzionali all'appiattimento culturale proprio della cultura di massa. Secondo una statistica del 2003, elaborata dallo Eurobarometer Survey on European Partecipation in Cultural Activities, in un anno, gli italiani che leggono almeno un libro sono il 42,2%. Questo vuol dire che quasi il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno. Ciò significa che il tempo libero viene utilizzato per stare davanti ad uno schermo, con tutto ciò che ne deriva.
Dunque, oggi anche i rapporti sociali possono trovare in Internet un luogo di nascita e di crescita. Ciò è guardato come positivo e destinato all'espansione. Scrive la professoressa di Economia aziendale Andreina Mandelli: "Possiamo pensare alla rete come modello di organizzazione dei nostri pensieri e della nostra socialità".(6)
Ma di che tipo di socialità si tratta?
Il modello di comunicazione che la rete offre ha caratteristiche precise. Gli individui sono posti davanti allo schermo, soli, privi di ogni contatto reale ed emotivo con l'altro. Inevitabilmente essi vedranno se stessi, ma soltanto come insieme di proiezioni da far vivere attraverso il contatto fittizio con l'altro.

Le "esperienze" delle chat per coppie, possono essere talvolta lo specchio delle nevrosi di incomunicabilità fra i sessi.
Molti, complice il senso di anonimato, possono ritenere di dover assecondare gli aspetti più immediati nella ricerca di svago, di gioco o di evasione dal quotidiano. Alla fine, possono crearsi "rapporti di consumo", che trascinano all'interno di una realtà in cui la realizzazione di un più alto livello nei rapporti uomo/donna viene impedita, ed emerge la sfiducia, quando non il totale disincanto, a che possa esistere tale più alto livello.

Gli esseri umani sembrano essere diventati adattabili a tutto, anche a ciò che peggiora la loro esistenza, e molti scelgono di dare un'impronta misera e superficiale alla loro vita, che esclude ogni possibilità di vera crescita con se stessi e con gli altri.
L’esistenza è molto più della sensazione del momento, molto più dei rapporti sociali virtuali, e molto più dei tanti palliativi mediatici e tecnologici offerti dal sistema per sviare l’attenzione da ciò che realmente siamo e da ciò che potremmo fare per abbattere un assetto fatto di inganni, crimini e controllo.
Diventare automi controllati oppure riprendere la propria umanità: è il bivio in cui si trovano i popoli nella civiltà contemporanea.



Articolo correlato:
“Infelicità umana e disumanizzazione”
http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/01/infelicit-umana-e-disumanizzazione.html


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NOTE

1) http://www.millepiani.net/archivesfilosofici/2009/04/05/una_repubblica_fondata_sul_web.html
2) http://ec.europa.eu/commission_barroso/reding/video/index_en.htm
3) http://nofacebooked.altervista.org/2009/02/
4) Fonte: "Sette" de "Il Corriere della Sera", #15, 2002.
5) CNET News.com, 14 Settembre 2004.
6) Mandelli Andreina, "Il mondo in rete", Egea, Milano 2000, p. 9.

domenica

IL POTERE OCCULTO DEI CAMBIAVALUTE

Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo sul modello finanziario. Si consiglia anche, per approfondire, il video:
http://www.wikio.it/video/923149






Il potere occulto dei cambiavalute

Un documentario che consiglio a tutti è “The Money Masters”, disponibile su youtube con sottotitoli in italiano. Si tratta di una lunga inchiesta (più di tre ore) su uno dei capitoli meno discussi della storia, nonostante sia di un'evidente importanza cruciale: il denaro. Nella storia che ci è stata insegnata, attraverso professori e libri ufficiali, ci si comporta infatti come se le questioni monetarie fossero un elemento di contorno irrilevante, e non una questione di primaria importanza nella lettura e nella comprensione degli eventi storici. Eppure basta riflettere un attimo per capire come il semplice atto di cambiare una valuta in un altra, e quindi decidere il tasso di cambio, abbia delle conseguenze enormi su qualsiasi transazione commerciale, oltre che su qualsiasi sistema sociale. Il documentario sopra citato racconta invece la storia tenendo conto di questo fattore primario. Nel particolare si sofferma sulla storia monetaria degli Stati Uniti d'America, sia perché tale storia ha avuto degli sviluppi interessanti e contrastanti nel corso del tempo, sia perché la struttura monetaria che alla fine è emersa è in realtà la struttura monetaria che oggi governa il mondo.

Nella parte iniziale del documentario si accenna a questioni monetarie affrontate anche nel remoto passato, in epoca romana e anche assai prima. Un episodio singolare e interessante al fine di intuire l'enorme potere che risiede nelle mani di chi decide i tassi di cambio pare abbia per protagonista il maestro Gesù. In quei tempi per fare un'offerta al tempio era necessario disporre di una moneta speciale che gli ebrei consideravano pura, mentre era proibito effettuare offerte utilizzando monete romane. I fedeli quindi appena entrati nel tempio trovavano i cambiavalute, i quali decidevano il tasso di cambio, ovviamente in accordo coi sommi sacerdoti. Questo accordo forniva abbondanti quantità di soldi romani nelle casse dei cambiavalute e dei sommi sacerdoti, i quali utilizzavano tali somme per i loro molteplici scopi, e nel complesso per accrescere il proprio potere. L'episodio in cui Gesù buttò all'aria i banchi dei cambiavalute può essere considerato l'unico caso in cui il maestro Gesù si sia davvero infuriato.

Tale episodio mostra anche le implicazioni sociali legate ai tassi di cambio, e premette di intuire le possibili e molteplici associazioni a delinquere che hanno potuto mettere in piedi nella storia i cambiavalute. Negli ultimi secoli tuttavia essi non si sono più accontentati di questi giochini, e hanno deciso di ampliare la loro truffa fino a farla diventare globale. Per cominciare hanno cominciato a strutturarsi in maniera diversa, a non chiamarsi più cambiavalute, ma banche. In pratica continuavano a fare il loro solito lavoro, però cercavano nello stesso tempo di istituzionalizzarsi. Questo processo comprende l'avvio di quella che noi conosciamo come economia, e che in realtà è un ammasso di complicazioni inutili per descrivere cose semplici. In questo modo i cambiavalute hanno costruiti negli anni una barriera sempre più impenetrabile e incomprensibile ai loro sporchi affari. Oggi hanno anche dato un nome a questa cosa, l'hanno chiamata alta finanza.

Nel frattempo i cambiavalute non hanno mai perso di vista l'ascesa della colonia statunitense, e ne hanno intuito le potenzialità. E' da rilevare che tali personaggi hanno sviluppato nella storia una straordinaria rete di informazioni, tale da permettergli sempre di conoscere in anteprima gli eventi importanti. Si è trattato in realtà di una vera e propria necessità, perché per poter mantenere ila loro attività è sempre stato necessario per loro avere un ruolo di autorevolezza e credibilità, che è possibile solo se si conoscono le informazioni prima degli altri. Noto è per esempio il caso di Nathan Mayer Rothschild, che avendo saputo in anticipo della disfatta di Napoleone, fece affari d'oro alla borsa di Londra, comprando per pochi spiccioli gran parte delle società inglesi quotate.

Se avrete la pazienza di seguire il documentario, vedrete come nella storia americana ci sia stata, almeno fino al 1913, una costante lotta tra il potere politico e i banchieri. Questi ultimi infatti, che già controllavano il mercato dei cambi e le transazioni internazionali, volevano a tutti i costi attuare un piano per controllare subdolamente l'intera ricchezza statunitense, forza lavoro compresa, e in un secondo tempo estendere la loro influenza a tutto il mondo. Come? Sottraendo allo stato americano, e via via agli altri stati, la sovranità monetaria.

E' chiaro che un presidente eletto e dotato di un minimo di intelligenza e coscienza si sarebbe dovuto opporre a questo piano, che andava chiaramente contro l'interesse del popolo americano, dell'aristocrazia, dell'industria, in pratica di tutti, tranne che dei banchieri. E molti presidenti infatti si opposero veementemente, perché allora i presidenti non erano del tutto fantocci come oggi. Quasi tutti lottarono contro il sistema bancario, in prima linea Jefferson, Jackson, Lincoln. Di queste lotte, che rappresentavano la principale preoccupazione di quei presidenti, la storia non ha lasciato quasi alcuna traccia. Perché i vincitori, come sempre, comandano la storia, e la modellano a piacimento. Nel 1913 infatti la lotta si concluse, il presidente Wilson si fece abbindolare e i cambiavalute riuscirono a portare a compimento il loro piano per gli Stati Uniti: controllare tutta l'emissione di moneta nella nazione, attraverso una banca centrale privata e indipendente dal potere politico, chiamata astutamente Federal Reserve. Tale nome è doppiamente ingannevole, perché non viene specificato che si tratta di una banca, mentre è messo in risalto il nome Federal per far credere agli sprovveduti che l'istituto sia sotto il controllo del governo federale.

Durante l'ultimo secolo i banchieri-cambiavalute hanno incrementato il loro potere, fomentando continuamente guerre al fine di controllare entrambe le parti attraverso i debiti che ogni guerra induce a contrarre. E via via la loro organizzazione è diventata sempre più potente e tentacolare.

In che modo oggi i cambiavalute controllano il villaggio globale? Attraverso pochi importanti organismi, la Federal Reserve, l'FMI, la Banca Mondiale, la Banca Centrale Europea, e attraverso tutti gli altri principali organismi mondiali, pubblici e privati, da essi controllati direttamente o indirettamente tramite il potere del denaro. Per capire come operano i cambiavalute su scala globale prendiamo il caso di una grande nazione, l'Indonesia. Nel 1966 il generale Suharto rimosse dal potere Sukarno. Quest'ultimo era un nazionalista, e pare che preferisse per i propri commerci aprirsi alla Cina e alla Russia piuttosto che finire nelle mani degli occidentali. Suharto era uno dei suoi generali, e si ribellò, appoggiato dall'occidente. Come si vede la storia è simile a quella del Cile di Salvador Allende, regolarmente eletto, ma spodestato con un sanguinoso colpo di stato dal generale Pinochet, appoggiato dagli Stati Uniti. Suharto, dopo aver massacrato un milione di persone sospettate di legami con i comunisti, riaccolse a braccia aperte gli occidentali, e propagandò il Fondo Monetario Internazionale come la soluzione di tutti i mali per il paese.

Venne organizzato un importante incontro in cui Suharto e i suoi generali si sedettero attorno ad un tavolo con gli occidentali, i banchieri e gli industriali. C'era chi era interessato alla mano d'opera indonesiana, chi invece alle sue risorse. E in questo incontro qual'è la prima cosa che venne aggiornata? Ma ovviamente il tasso di cambio, cioè quanto valeva una rupia indonesiana nei confronti della moneta di riferimento, il dollaro americano! E' questo il nocciolo della trattativa, anche se viene sempre incredibilmente tralasciato. Un tasso di cambio sfavorevole significa mettere tutto il paese in una condizione tale che gli risulterà impossibile accedere al mercato globale, e quindi uscire dalla miseria. E i cambiavalute impongono sempre un tasso di cambio tale da massimizzare i propri profitti personali. Una volta stabilito il tasso di cambio sfavorevole, tutto il resto sono briciole. E la tattica dei cambiavalute è proprio questa; lasciare solo le briciole, in modo che i galli più violenti e cattivi prendano il potere con la forza, e si impadroniscano del magro bottino. Nel caso in questione i galli sono i generali locali e gli industriali esteri, le galline che rimangono affamate la popolazione, mentre il padrone (il banchiere) sghignazza soddisfatto. Con Suharto si apre così l'era dello sfruttamento indiscriminato delle risorse e della mano d'opera Indonesiana, che continua tuttora. E dietro a tutto, mascherati e abilmente occultati, ci sono come sempre loro, i cambiavalute.

Cyrus



Riferimenti:

“The Money Masters”
prodotto da Patrick Carmack, diretto da Bill Still.

“L'Indonesia, carta vincente del gioco Usa”
di Noam Chomsky
http://www.tmcrew.org/archiviochomsky/indonesia.html

“I Nouvi Padroni del Mondo”
di John Pilger

mercoledì

GLI EROI PERSEGUITATI DEL PAESE RUBATO - Quell’Italia sottratta agli italiani e quegli italiani sottratti a se stessi

Di Antonella Randazzo



L’italiano sembra possedere capacità interiori molto elevate, che se utilizzate possono distinguerlo per coraggio morale, potenzialità creative e bisogno di agire con onestà e correttezza.
Lo so, forse qualcuno sta pensando che stia vaneggiando: diversi italiani possono avere una sorta di inclinazione a compiangersi, credendo che altri, inglesi, francesi o statunitensi, abbiano qualcosa in più di loro. E’ celebre la frase “soltanto qui può accadere questo”, alludendo ai tanti paradossi che accadono nel paese del sole.
Come è stata creata questa tendenza autodenigratoria nell’animo italiano?
Capire la realtà italiana è impossibile senza capire il sistema coloniale che è stato innestato da tempi immemori, e le persecuzioni che sono state da sempre rivolte ai nostri illustri connazionali, ovvero a molti di coloro che hanno manifestato il “genio” italiano senza timore.
Molti italiani non conoscono la loro stessa storia e la quantità di illustri compatrioti perseguitati e talvolta uccisi per il loro coraggio e talento.

Non si tratta di sciovinismo, ma di riconoscere le notevoli risorse dell’animo italiano, manifestate dai tanti italiani che hanno avuto un ruolo importantissimo su questo pianeta, dimostrando altissime qualità morali e coraggio nello sfidare l’attuale sistema criminale.
Gli esempi possono essere tanti.
E’ stato un italiano, Enrico Mattei, a sfidare per la prima volta le grandi corporation petrolifere, al fine di poter avere libertà nell’approvvigionamento delle risorse energetiche. Si è trattato di italiani, Falcone e Borsellino, quando per la prima volta nella Storia gli intrecci tra le mafie internazionali e le grandi banche stavano per essere smascherati. Si è trattato di italiani quando la tecnologia stava per approdare a nuovi e importanti orizzonti, o quando la scienza oltrepassava il limite della fisica di Newton.

Molti grandi italiani potevano cambiare in meglio il futuro del paese, se non fossero stati contrastati ferocemente dal gruppo dominante. Spiega il giornalista Mario Pirani:
“Enrico Mattei... e Adriano Olivetti… (uniti) dalla concomitante e anticipatrice scommessa sull’importanza decisiva della politica energetica, ... e di quella elettronica… personalità controcorrente, di diversa estrazione e provenienza, ma che avevano in comune la rara capacità di precorrere i tempi e d’intuire l’evolversi di processi destinati di lì a poco a ingigantirsi. Eppure il loro disegno non poté compiersi… Se l’ostilità di banchieri, finanzieri, imprenditori e politici che fecero mancare l’indispensabile supporto alla triplice impresa, quando anche non la silurarono apertamente, non si fosse manifestata con tanta virulenta determinazione, non sarebbe forse possibile immaginare un solido approdo ‘giapponese’ in chiave europea, del miracolo economico italiano, tale da incardinare in solide fondamenta il nostro futuro economico”.(1)

Esistono esseri umani talmente geniali da suscitare stupore, a cui non è stato permesso di attuare i loro progetti o di raggiungere la notorietà come altri personaggi assai meno talentosi.
Il matematico italiano Gregorio Ricci Curbastro elaborò la matematica che servì ad Einstein per proseguire le sue ricerche.
Di questo studioso, sconosciuto ai più, ha parlato Fabio Toscano nel libro "Il genio e il gentiluomo", nel tentativo di dargli, almeno in parte, quella fama che meriterebbe. Ma non bisogna illudersi: mentre Einstein godrà in perpetuo di una straordinaria notorietà, il nostro Curbastro rimarrà pressoché sconosciuto. Eppure nel 1916 Einstein si sarebbe rivolto al collega Marcel Grossmann per ricevere aiuto dato che non riusciva ad andare avanti nelle sue ricerche. Grossmann gli segnalò la matematica del "calcolo differenziale assoluto" elaborata da Ricci Curbastro, che all’epoca insegnava matematica all'Università di Padova.

La stessa teoria della relatività non sarebbe opera di Einstein ma di un italiano, un matematico autodidatta di nome Olinto De Pretto. La rivelazione è stata fatta dal giornale inglese “Guardian” nel 2007. Nel novembre del 1903, De Pretto pubblicò un articolo dal titolo “Ipotesi dell’etere nella vita dell’Universo”, in cui diceva che “la materia di un corpo contiene una quantità di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse alla medesima velocità delle singole particelle”. Il professor Umberto Bartocci, docente di Storia della matematica all’Università di Perugia, spiega che soltanto per un difetto nell’impostazione la teoria del De Pretto non sarebbe stata capita. Solo nel 1905, lo studioso svizzero Michele Besso avrebbe avvertito Einstein del fatto che la sua teoria era stata elaborata due anni prima da De Pretto, ma a quest’ultimo non fu mai attribuito alcun merito.
Bartocci dedicò alla questione un libro dal titolo “Albert Einstein e Olindo De Pretto – La vera storia della formula più famosa del mondo” (pubblicato nel 1999 da Andromeda), in cui spiega: “De Pretto non scoprì la relatività però non ci sono dubbi sul fatto che sia stato il primo ad usare l’equazione e questo è molto significativo. Sono anche convinto che Einstein usò le ricerche di De Pretto, sebbene questo sia impossibile da dimostrare”.

Molti altri italiani non hanno avuto l’onore e la fama che meritavano.
L’imprenditore Adriano Olivetti attuò il sistema dei consigli di gestione, permettendo la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale e l’invenzione del primo computer.
Nel 2008 sono state organizzate diverse commemorazioni in occasione del centenario della nascita della storica azienda Olivetti. Pochi sanno del progetto innovativo elaborato da Adriano Olivetti. Egli, ingegnere chimico, sentiva di avere un importante compito nello sviluppo dell’azienda. Per questo motivo porterà avanti una notevole ricerca, a cui dedicherà ben 18 anni di vita, fino alla tragica morte avvenuta mentre andava da Milano a Losanna su un convoglio ferroviario, la notte del 27 febbraio 1960.

Adriano voleva cambiare le strategie industriali, a tal punto da renderle moderne, ovvero tecnologicamente avanzate. La Olivetti, nel 1959, acquisterà un'industria americana, la Underwood, e produrrà il primo grande elaboratore italiano, l'Elea 9003.

L'Elea 9003 è stato il primo calcolatore del mondo che operava in multiprogrammazione, permettendo a più utenti di operare in parallelo, riducendo i tempi di attesa dei risultati.
Nei primi anni Sessanta, l’ingegner Piergiorgio Perotto realizzava un calcolatore elettronico personale innovativo. Nel '65, in contrasto con le prospettive poste in essere dall’azienda, nasce Programma 101 (detto Perottina), il primo computer della storia.



Grazie ad Adriano, la Olivetti diventò un esempio per gli imprenditori di tutto il mondo, offrendo un modello di imprenditoria che armonizzava lo sviluppo delle potenzialità umane e l’esigenza di innovazione tecnologica. Tale modello sarà osteggiato dall’elitè statunitense, che vedeva nello spazio dato ai lavoratori e nei progressi tecnologici non controllabili un pericolo al suo potere.
Per questo motivo, Adriano Olivetti dovrà subire una serie di persecuzioni e l’ostracizzazione dell'establishment industriale.
Dopo la sua morte, l’azienda attraverserà un periodo di crisi, e il gruppo di potere finanziario e industriale mirerà a limitare fino a sopprimere l’iniziativa della divisione elettronica Olivetti, senza trovare ostacoli politici.
In seguito all’acquisto dell'azienda Underwood, la Olivetti si era indebitata, e questo permetterà al gruppo di potere finanziario di indurre, nel 1964, il Comitato di Risanamento e il Consiglio di Amministrazione a cedere l’intero settore elettronico dell'Olivetti alla General Electric. Nel 1967 la Hewlett Packard versò 900.000 dollari all'Olivetti, per aver violato il brevetto del Programma 101 (il programma di creazione del primo computer) con il suo modello HP 9100. Un dollaro simbolico fu versato dall'Olivetti all'ingegner Piergiorgio Perotto, che fu l’inventore del primo personal computer della storia.

Le tante invenzioni degli italiani spesso non sono valse ad affermare il genio italiano e a contrastare la scarsa capacità innovativa del nostro paese. Si tratta di un limite posto dal gruppo dominante al fine di condizionare la crescita di un paese che potrebbe sfuggire al controllo qualora fosse lasciato libero di svilupparsi come potrebbe.
Oggi come ieri, attraverso le risorse finanziarie e il controllo politico ed economico, al nostro paese non è permesso un vero e proprio sviluppo. Basti pensare al caso della tecnologia relativa alle energie solari (centrali solari termiche), che il fisico italiano Carlo Rubbia sta mettendo a punto all’estero, in paesi come la Spagna e la Germania, poiché non gli è stato permesso di farlo nel paese del sole.

Anche da recente si è fatto onore un eroe italiano, trattato da mascalzone da alcuni media, pur avendo salvato la vita a diverse persone.
Si tratta di Giampaolo Giuliani, inventore di un metodo atto a prevedere i terremoti attraverso il monitoraggio del Radon che fuoriesce dalla crosta terrestre. Questo metodo potrebbe essere perfezionato e reso assai più efficace di quanto non sia attualmente. Spiega Giuliani:
“(All'Aquila) E' successo che delle tre stazioni che fino al momento del sisma stavano funzionando, e funzionavano bene, una indicava come vettore la posizione dell'epicentro dell'evento che abbiamo avuto. Le altre due stazioni denunciavano il grado sismico dell'evento, ed è da una in particolare, quella più vicina all'epicentro, che si capiva che qualcosa di disastroso stava avvenendo… Certo, la nostra è una ricerca sperimentale. Sicuramente abbiamo una notevole mole di dati che ci permettono di avere informazioni anche scientifiche sul comportamento del Radon che ancora oggi non sono ben conosciute. Non solo, ma questo sistema ci ha dato garanzia, non ultima l'evento che abbiamo subito, che un forte evento può essere in qualche modo allarmato con un certo margine di anticipo… Abbiamo tentato dal 2002-2003 di avere un supporto da tutte le comunità scientifiche: dall'INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) alla Protezione Civile... Ci siamo sottoposti a test di funzionamento ufficiali… Tutte le richieste di collaborazione che abbiamo fatto ci sono state rigettate perchè tutti i tecnici che avrebbero in qualche modo dovuto guardare, vedere che cosa stavamo ottenendo, ci dicevano "I terremoti non possono essere previsti. Non potranno mai essere previsti, quindi quello che lei sta studiando non serve!"… Dalla Russia, dalla Germania, dalla Romania, dagli Stati Uniti, dal Giappone... I professori delle università di tutto il mondo mi hanno detto: "Non sei solo in questa storia. Quello che stai facendo è vero. Anche noi, che osserviamo e misuriamo le stesse cose che stai osservando tu, abbiamo gli stessi riscontri e gli stessi risultati. Vai avanti!"… Ci siamo pagati tutto da soli in questi dieci anni. Ci rimboccheremo le maniche, rimetteremo in moto tutto, porteremo avanti la nostra ricerca, metteremo in piedi le altre due stazioni che dovevano nascere, e con cinque stazioni forse riusciremo ad evitare, se dovesse ricapitare domani, un disastro del genere. Forse riusciremo ad evitare che ci possano essere così tanti morti, ...perchè molti di questi potevano in qualche modo essere salvati”.(2)

Le persecuzioni in cui Giuliani è incorso e il grado ossessivo con cui nei media ufficiali gli “esperti” ripetevano “i terremoti non si possono prevedere”, fanno perlomeno insospettire. Nei giorni in cui tutte le reti televisive si occuparono costantemente del terremoto dell’Aquila, nei programmi più seguiti non ci fu ospite nessuno scienziato che la pensasse diversamente rispetto alle fonti ufficiali. Eppure moltissimi scienziati sono convinti che possano essere messe a punto tecniche atte a prevedere i terremoti. Ad esempio, il professore di Fisica all’Università di Bari, Francesco Biagi, spiega: “I sistemi per prevedere un terremoto già esistono, è che mancano i soldi per perfezionarli… Nel 2005 abbiamo presentato un progetto alla Regione per l’installazione di 25 centraline per il rilevamento di radon e stazioni radio a bassa frequenza (alcune anche nel Gran Sasso). Per un punto siamo stati esclusi dalla graduatoria e le prime centraline sono state disattivate”.(3)

Quello che i mass media volevano nascondere è che non si investono soldi per salvare vite umane. L’intero sistema non è incentrato sulla vita e sulla crescita sociale e civile, ma sulla miseria e sulla morte, che sono funzionali a tenere in piedi il potere di un gruppo di criminali. La morte può persino accrescere il loro potere, specie quando viene spettacolarizzata e diventa un mezzo per stornare l’attenzione da più pericolosi eventi.
Sta di fatto che chi ha seguito l’avviso di Giuliani si è salvato, mentre molti di coloro che hanno seguito la voce ufficiale di “tornare nelle proprie abitazioni” sono morti.
Spiega una reduce residente a Poggio Picense (AQ), Stefania Pace:
“Quella sera, la sera del 5 aprile, verso le 20.30 ci siamo messi a cena ed è arrivata una scossa di terremoto. Ho acceso il computer, ho guardato il grafico e mi sembrava fuori da ogni ragionevole parametro, perchè raggiungeva picchi altissimi e ho addirittura ipotizzato che fosse rotto il rivelatore. Ho chiamato Giuliani, che al momento non era davanti al computer, e che dopo avere controllato mi ha confermato che la concentrazione di Radon era molto alta, e che avremmo dovuto aspettarci una scossa… La protezione civile assicurava che era tutto sotto controllo, la situazione era normale, non c'erano allarmi. Al chè la maggior parte delle persone che erano lì fuori sono rientrate, perchè la gente si fida della protezione civile. Io invece ho richiamato Giuliani, prima dell'una, e lui mi ha detto che ci sarebbe stata una scossa più forte. Mi ha detto che avrei dovuto restare in macchina, di non rientrare. Io e la mia amica Patrizia abbiamo pensato che era il caso di avvertire tutte le persone che erano rientrate… Anche perchè ci trovavamo in località Il Colle di Paganica, un posto dove ci sono tutte case vecchie, in pietra, magari mai ristrutturate, per cui si sarebbero sbriciolate come poi è avvenuto. La mia amica e suo marito hanno cominciato a fare su e giù per i vicoli, cercando di tirare fuori le persone dalle case, suonando tutti i campanelli. Molte di loro si sono anche arrabbiate, perchè dicevano "Ma come! La protezione civile ci ha detto di rientrare, e tu adesso ci chiami e ci fai uscire di nuovo di casa?"… Alle tre c'è stata la scossa. Abbiamo visto le case che ci si sbriciolavano davanti agli occhi, i fili della corrente prendere fuoco. Un inferno, ma le persone che erano lì con noi erano vive. Giuliani, indirettamente, ha salvato molte vite. Anche se lo hanno messo a tacere in questo caso è riuscito a dare un allarme e a salvare tantissime persone. Tutte quelle persone gliene sono grate, compresa me… La protezione civile ha sempre cercato di non creare allarme, ma in realtà l'allarme c'era. Bastava soltanto far uscire le persone di casa almeno dai centri storici per non causare tutte quelle vittime… passava il messaggio: ‘Non date retta ai ciarlatani! I ciarlatani dicono che prevedono i terremoti, e invece i terremoti non si possono prevedere’. Questo ci fa capire quanto l'informazione sia stata in qualche modo complice di tutte queste morti… La gente si è fidata. Sbagliando, si è fidata!”(4)

Racconta Giuliani: “Il 5 aprile, alle 20.00, constato che la situazione è fortemente anomala, e vado a scaricare i dati alla scuola Edmondo De Amicis. Incrociando i dati, verso le 22.00 o le 23.00, vedo che la situazione si sta evolvendo verso una situazione catastrofica, un forte evento. Non so chi avvisare. Tantissimi nell'aquilano che conoscono la mia tecnica e i nostri studi osservano i grafici su internet che denunciano una situazione piuttosto allarmante, e prendono autonomamente la decisione di abbandonare le case e passare la notte fuori. Io invece ho vissuto una situazione drammatica perchè vedevo montare un evento disastroso e non sapevo cosa fare… Avevo subito pressioni: anche se avessi visto un evento catastrofico non avrei dovuto allertare e dirlo a nessuno! … vedevo il Radon che continuava a salire, il tempo di continuare a fare i calcoli nella speranza di avere sbagliato qualcosa, ... Tante persone che non hanno avuto la possibilità di saperlo, trecento persone, sono morte. Ma se fosse stata data la segnalazione… forse... avrebbero potuto essere salvate molte persone in più."(5)

In molti illustri cervelli italiani non c’è stato soltanto ingegno artistico o scientifico, ma anche quella nota umanistica che ha irradiato un senso di crescita civile, umana e sociale, ben al di là del puro profitto e interesse personale. Molti grandi italiani, famosi o sconosciuti, hanno portato un contributo importantissimo in molti settori, evidenziando non soltanto l’idea del genio creativo italiano, ma anche del cuore grande che gli esseri umani possono avere.

In Italia gli innovatori sono talvolta come eroi incompresi. “Nemo propheta in patria”, e come profeti resi impotenti devono vivere una vita difficile, sottomettendosi alla cultura dominante che li costringe ad imitare modelli di scarsa qualità, rinunciando ad utilizzare le proprie risorse. Paradossalmente, oggi l'imprenditoria italiana è costretta ad essere prigioniera della sindrome che le fa preferire tutto quello che proviene d’oltreoceano, attuando una tendenza esterofila.
Ovviamente, tutto questo non è liberamente scelto e voluto dalla maggior parte degli imprenditori italiani, ma è frutto dell’attuale sistema di potere oppressivo, che, oltre al controllo sulla politica e sulle finanze, esige anche il controllo sulla ricerca, anche a costo di ridurre un paese creativo come il nostro in un vassallo dalle poche speranze di indipendenza e sviluppo.



Articolo correlato "L'Italia è una colonia?"
http://www.disinformazione.it/italia_colonia.htm

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NOTE

1) Prefazione di Mario Pirani in Italo Pietra, “Mattei. La pecora nera”, Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma 2006, p. 11.
2) http://www.byoblu.com/post/2009/04/19/Appello-alle-mafie-finanziate-Giuliani!.aspx#continue
3) http://www.byoblu.com/post/2009/04/17/Linformazione-assassina.aspx#continue
4) http://www.byoblu.com/default.aspx
5) http://www.byoblu.com/post/2009/04/15/Il-cacciatore-di-terremoti.aspx#continue



BIBLIOGRAFIA

Batstone David, “Salviamo l'anima delle aziende”, Etas, Milano 2005.
Gallino Luciano, “La scomparsa dell’Italia industriale”, Einaudi, Torino 2003.
Gallino Luciano, “L’impresa responsabile. Intervista su Adriano Olivetti”, Ed. Comunità, 2000.
Novara Francesco, Rozzi Renato, Garruccio Roberta, “Uomini e lavoro alla Olivetti”, edizioni Bruno Mondadori, Milano 2005.
Perotto Pier Giorgio, “Programma 101. L'invenzione del personal computer: una storia appassionante mai raccontata”, Sperling & Kupfer, Milano 2000.
Soavi Giorgio, “Adriano Olivetti. Una sorpresa italiana”, Rizzoli, Milano, 2001

giovedì

TEORIA E PRATICA DEL COMPLOTTO

Di Antonella Randazzo




Il termine “complottisti” viene oggi utilizzato con toni assai dispregiativi, ad indicare alcune persone che denunciano l’attuale sistema come dovuto al potere criminale di uno sparuto gruppo di persone. Tale denuncia risulta essere, per il potere costituito, assai dannosa, poiché mirerebbe a rendere le persone comuni coscienti di non avere alcun potere politico o finanziario. Per questo motivo, coloro che denunciano questo stato di cose vengono coperti di etichette o nomignoli atti a spostare l’attenzione su particolari irrisori o su aspetti personali, al fine di minimizzare le loro denunce o di renderle poco credibili.
C’è da interrogarsi su quest’esigenza di etichettare persone che ad un certo punto della loro esistenza scoprono che le guerre non vengono fatte per “portare democrazia”, che alle autorità politiche non frega un baffo se loro hanno un lavoro decente oppure no, che la storia insegnata a scuola non la conta giusta sul potere che i grandi banchieri-imprenditori hanno avuto nel provocare determinati eventi, o che la scienza ufficiale non lavora sempre a favore degli esseri umani. Queste persone si sono rese conto, con non poco sconcerto, che quello che accade in ambiti finanziari, economici o politici non è esattamente come lo raccontano i mass media.

Dunque, le persone che scoprono agghiaccianti verità e cercano di diffonderle, vengono bollate come “complottiste” e descritte come persone poco equilibrate, inclini a vedere intrighi ovunque e a credere in cose non dimostrabili.
In altre parole, la denuncia di una realtà evidentemente non libera poiché dominata da un gruppo di persone, viene resa come una mania di persecuzione o associata a frustrazioni personali, o all'incapacità di adattarsi e di essere come tutti gli altri.

Sta di fatto che non è possibile smentire chi sostiene che oggi il mondo è dominato da poche persone, e che milioni e milioni di persone soffrono o muoiono a causa di questo iniquo potere. Non si tratterebbe in realtà di teorizzare un “complotto”, come disse Kenn Thomas: “Lasciate perdere la ‘teoria del complotto’. E’ tutto un complotto, nessuna teoria”.(1)

Prima o poi tutti si troveranno di fronte alle contraddizioni stridenti del sistema e non potranno più ignorare l’evidenza, comprendendo che spesso non si crede ad alcune verità semplicemente perché si è ricevuto un determinato condizionamento.
Credere che l'apparenza neutrale dei mass media sia vera significa credere che dietro non vi sia alcuna ideologia, e che dunque non siano utilizzate tecniche per inculcarla ai cittadini. A molti ciò sembra sciocco. Eppure quando qualcuno solleva la questione del controllo mediatico da parte di un ristretto gruppo di potere, fatto verificabile, lo si accusa di "complottismo" o di essere strano, di vedere cospirazioni ovunque in quanto persona ideologizzata. In altre parole, l'ideologia imposta implicitamente dal potere dominante diventa "verità" indiscussa e indiscutibile, ovvero entra a far parte della forma mentis comune. Mentre la verità del sistema denunciata da persone comuni che sfuggono a tale forma mentis, diventa ideologia paranoica.

L’esistenza di banchieri-imprenditori feroci e criminali è quanto di più dimostrabile ci possa essere, mentre sfido chiunque a dimostrare che in Italia (e in molti altri paesi) esisterebbe la fantomatica “democrazia”, ovvero la reale sovranità politica e monetaria del popolo.
Se poi il gruppo in questione viene chiamato “massonico”, "stegocratico", di “banchieri” o in qualsiasi altro modo non cambia affatto la realtà che crea e che sta sotto gli occhi di tutti: ovvero la povertà dovuta all’usurpazione delle ricchezze dei popoli, l’oppressione, le guerre per le risorse e per il potere, il controllo dei media e delle produzioni culturali per evitare che i popoli si evolvano come potrebbero, ecc.
Se ogni persona condannasse tale sistema di potere, rinunciando a sostenerlo e ad accanirsi contro chi cerca di capirlo nella sua vera realtà, sarebbe possibile creare un mondo migliore.

La parola “complotto” significa “congiura”, “intrigo”, e indica l’organizzazione di un qualcosa per danneggiare qualcuno. Si parla di “teoria del complotto” quando si ritiene che gli eventi più significativi - politici, economici, finanziari, mediatici o di altro genere – siano da rapportare ad un gruppo di personaggi che ha interesse a proteggere il suo potere o ad accrescerlo.
Il punto principale è: il sistema di potere attuale è nelle mani del popolo e dunque a vantaggio di esso, o no?

E’ possibile provare che un gruppo privilegiato può creare determinati eventi in virtù del potere acquisito.
Ad esempio, quando sono state fatte le privatizzazioni non sono state le comuni famiglie italiane a poter acquistare un’azienda pubblica, ma personaggi dell’establishment sostenuti dai banchieri.
Nessuno pensa che le persone comuni abbiano lo stesso potere di un banchiere o di chi controlla grandi corporation, eppure si addita a paranoico chi sostiene con sicurezza che da questa disparità di potere derivino una serie di eventi architettati allo scopo di proteggere il potere vigente e di mantenere i popoli sottomessi.

I “complottisti” sarebbero dunque non le persone che smascherano la congiura, come viene erroneamente detto, ma coloro che organizzano azioni per danneggiare gli altri valendosi di “fantocci” che manovrano come vogliono.
Lo scrittore Roberto Quaglia cerca di rendere più chiaro il concetto di “complotto”:

“Tutti crediamo di sapere cosa sia un complotto, o una cospirazione. Così come tutti crediamo di sapere cosa sia un cospiratore. In realtà, come vedremo tra poco, queste parole hanno lievemente mutato significato nelle nostre menti, rispetto al loro significato originario, e adesso vogliono dire qualcos’altro. La differenza è piccola, ma, come vedremo, sostanziale. Il fenomeno diventa più facilmente visibile e comprensibile se alla parola complotto (o cospirazione) aggiungiamo il vocabolo «teoria». Tutti noi sappiamo anche cosa è una teoria. Eppure, l’espressione combinata «teoria del complotto» significa qualcosa di sostanzialmente differente da ciò che dovrebbe significare. In inglese è anche più evidente. Provate a menzionare l’espressione Conspiracy theory ad un qualsiasi individuo anglofono appena appena erudito e vedrete nel 99% dei casi un sorrisino ironico dipingersi sul suo viso. Non lasciatevi disarmare. Insistete nel vostro esperimento e provate a pretendere di raccontargli di una cospirazione realmente avvenuta o addirittura in atto. Il sorrisino del vostro interlocutore con tutta probabilità si arricchirà di tutti gli altri semantemi espressivi della commiserazione: nel migliore dei casi verrete osservati con il compatimento che naturalmente si destina al solito tapino squilibrato che cerca di propinare al prossimo la strampalata farneticazione paranoide di turno… la parola «cospirazione» ha nel tempo smarrito il suo significato originario, soprattutto nella lingua inglese. Conspiracy ormai non è più un vocabolo serio che voglia dire ciò che il dizionario pretende che esso significhi. Conspiracy è ormai un vocabolo che contiene in sé anche l’accezione della propria falsità… Se alla parola Conspiracy aggiungete anche il vocabolo Theory (teoria), la frittata è completa. Il concetto di teoria, associato a quello di cospirazione, suggella in modo pressoché definitivo la falsità di quanto venga ipotizzato. Si scrive Teoria della Cospirazione, si legge Teoria Falsa e Paranoide della Cospirazione… Invece, oggi si parla comunemente, e a sproposito, di Teoria della Cospirazione. Tutto ciò è curioso. Per caso o per dolo, il semantema che per secoli o millenni ha significato il concetto di cospirazione adesso virtualmente significa cospirazione immaginaria. Scrivi cospirazione, leggi cospirazione immaginaria. Come è mai potuto accadere qualcosa del genere? E, soprattutto, se mai una cospirazione davvero venisse tramata o messa in atto da qualcuno da qualche parte, come potrebbe mai essere possibile discuterne con lucidità, se il fatto stesso di nominarla si tira dietro il significato della infondatezza di ciò di cui si sta parlando? È perfettamente possibile – e per inciso assai probabile – che tale trasmutazione semantica sia interamente casuale. Tuttavia... non è più affascinante pensare per un attimo – anche solo per gioco o per divertimento intellettuale – che dietro a questo curioso fenomeno possa celarsi un astuto progetto, un diabolico artifizio allo scopo di disarmare i tam tam verbali di coloro che di una importante cospirazione venissero a conoscenza, ovvero – anche se indubbiamente ciò suona fantascientifico – una raffinatissima impalpabile arma di guerra psichica? … D’altra parte, non sarebbe questa la ripetizione del solito vecchio trucco? La manipolazione semantica ha già trasformato la parola «pace» in guerra («le missioni di pace»), la parola «libertà» in una informe creatura tentacolare che ormai non so più bene spiegare neanch’io, e potremmo continuare con gli esempi a lungo”.(2)

E’ curioso che sempre più persone si prodighino a parlare dei presunti “complottisti”, a cui persino l’enciclopedia “libera” Wikipedia dedica un’ampia rassegna, mentre nei canali ufficiali e nella detta enciclopedia sono assenti i crimini prodotti dai banchieri o i nomi delle famiglie stegocratiche e le loro azioni infami. Esiste ad oggi la tendenza descritta dallo studioso Sandro Bellassai: “La sottrazione di se stesso all'ambito storico, transeunte, è uno dei procedimenti classici di legittimazione di ogni potere”.(3)

Il gruppo stegocratico, finché sarà al potere, non apparirà come criminale o oppressore, e farà passare per visionario chi denuncia la sua esistenza e i suoi crimini. E’ ovvio che il maggiore desiderio del gruppo egemone è quello che mai nessuno si accorga dei suoi misfatti, e che tutti possano sempre credere alla sua propaganda, anche quando l’evidenza dice il contrario. Spera che mai nessuno si prenda la briga di sollevare i paradossi e le iniquità prodotte dal suo operato, magari per timore di passare per paranoico o di essere trattato da visionario.

Forse in passato il potere del gruppo egemone trovava ostacoli e alcuni limiti, ma oggi, a causa dei processi di privatizzazione e di globalizzazione, è stato possibile concentrare in poche mani una quantità di proprietà mediatiche, finanziarie ed economiche, generando un potere enorme.
Probabilmente questo gruppo di potere non è compatto come si potrebbe credere, oppure talvolta tentenna o si trova in difficoltà, specie nel Terzo Mondo, dove le persone si sollevano assai spesso. Tuttavia l’idea di un gruppo coeso nel reprimere i popoli, nell’indebolirli con la povertà o nel creare guerre è assai rispondente a ciò che risulta essere l’attuale realtà di potere.

Eminenti personaggi, come Karl Popper, hanno ritenuto impossibile un controllo delle società o degli eventi storico-sociali, eppure oggi ciò risulta in molti casi possibile. Ovviamente non sempre il gruppo di potere realizza esattamente ciò che vuole, non è infallibile, tuttavia spesso realizza i suoi progetti criminali. Basti pensare alle realizzazioni di progetti stabiliti a tavolino attraverso associazioni come il Bilderberg e la Trilaterale. Ad esempio, per l'America Latina, attraverso la Trilaterale si preparò un piano di intervento politico-economico, per limitare i poteri dei governi e controllare meglio l’economia. Fu stilato un rapporto in cui si mettevano al bando le politiche sociali e si decretava inesorabilmente che tutte le risorse avrebbero dovuto diventare proprietà privata, inclusa l'acqua, l'elettricità, il gas, l'istruzione e la sanità. Oggi questi progetti sono stati applicati con successo in moltissimi paesi del mondo.

Secondo il professor R. Winfield si tratta di un gruppo di “burattinai” che tira le fila delle situazioni:
“In alcuni scritti recenti sulle questioni sensibili, sentite occasionalmente queste fazioni “avversarie" citate come ‘Punch & Judy’. Se non provenite dall'Inghilterra, non potreste avere l'immagine completa su quanto ad hoc questa definizione sia. Punch & Judy sono uno spettacolo di burattini per bambini. Ora, osservate come questo calzi a pennello con gli attuali sviluppi. Ogni episodio di Punch & Judy è basato su di una determinata questione e i due pupazzi combattono, uno è buono l'altro cattivo. I bambini sono completamente assorbiti, coinvolti emozionalmente e rapiti da immagini, suoni, azioni, suspense, conseguenze, ecc. Tuttavia, per tutto il tempo, appena dietro la tenda, è un solo uomo che manovra entrambi i pupazzi… il mentore di Bill Clinton, Carol Quiggly, nel suo volume epico Tragedy & Hope (Tragedia & Speranza) ha confessato che esiste effettivamente un'agenda segreta per condurre il pianeta verso un sistema globale, il Nuovo Ordine Mondiale, ma (quasi profeticamente) ha richiesto che venisse tirata fuori dall'ombra e proclamata apertamente. È quello che stanno facendo in questo momento. Questo Programma sta venendo perfezionato sotto i nostri occhi, i suoi creatori, sempre più spudoratamente non celano più le loro intenzioni. È tutto allo scoperto ormai, è tempo di prepararsi per il Nuovo Ordine Mondiale che includerà un nuovo governo globale, un nuovo sistema economico globale, e una nuova religione globale… Se voi e qualche vostro amico a scelta controllaste tutti i media, quanto facile vi sarebbe alterare le menti delle persone? … Spesso la tendenza umana è o di prendere la cospirazione con un pizzico di sale in zucca, o di diminuirne razionalmente l'importanza, perché se tutto questo è vero, dunque siamo forzati a prendere delle serie decisioni a proposito delle nostre visioni sul mondo.”(4)

E’ bene che si sappia che quando si rifiuta il concetto di esistenza al potere di un gruppo ristretto di persone, si sta sostenendo che siano le persone comuni a decidere gli eventi finanziari, economici o politici del paese. Ad esempio, che siano i pensionati che percepiscono una pensione minima a voler essere poveri, che tutti i lavoratori precari siano felici della loro condizione, che tutti i disoccupati vogliano rimanere tali, o che coloro che non possono più pagare il mutuo lo abbiano scelto per divertimento.
Significa pensare che i popoli scelgano di essere sempre più poveri, e che le persone che muoiono di fame o vivono di stenti abbiano scelto di dare le risorse dei loro paesi alle corporation perché sono più felici in povertà o desiderano ardentemente la morte per fame. Bisogna essere imbecilli per credere questo.
Rifiutare l’esistenza del gruppo stegocratico, significa accettare i loro paradossi, crimini e contraddizioni senza fiatare.

Le “crisi” che siamo costretti a vivere altro non sono che il segno dell’oppressione e della sofferenza, che giovano al gruppo di potere per sentirsi ancora in grado di operare controllo sui popoli, anche quando molti sono in grado di vederli come oppressori e criminali.

Parlare di “complotti” pur sembrando un modo fazioso o tendenzioso di percepire la realtà, significa di fatto poter intendere il mondo come migliore di quello che è: infatti, si può considerare che molti problemi del mondo, anche quelli più gravi come la miseria e la fame, non sono irrisolvibili ma derivano dall’assetto di potere attuale, voluto non da tutti ma soltanto da poche persone, e da queste protetto e rafforzato. Oggi è possibile concepire un nuovo modo di governare e un nuovo assetto finanziario, favorevole ai popoli. Per realizzare questa nuova realtà occorre capire la vecchia, scoprendo anche le caratteristiche più inquietanti senza alcun timore, e aprendo alla possibilità di liberarsi dall’oppressione e produrre un assetto che veda possibile la crescita sociale, civile, politica ed economica dei popoli.


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NOTE

1) Conferenza di Michael Tsarion, http://www.youtube.com/watch?v=MPwrP1HhAD8
2) http://www.robertoquaglia.com
3) Sandro Bellassai, “L'invisibile parzialità del maschile nella storia”, in
Ethel Porzio Serravalle (a cura di), “Saperi e libertà. Maschile e femminile nei libri, nella scuola e nella vita”, vol. II, Polite-Associazione Italiana Editori, Milano 2001.
4) http://www.luogocomune.net/site/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=1432&forum=53